Malgrado l’accelerazione al digitale impressa dalla pandemia, la strategia di MooRER è per certi versi ancora molto fisica. Nel senso che il marchio veronese di capispalla e abbigliamento, fondato nel 2006 da Moreno Faccincani, crede che il prodotto sia il miglior biglietto da visita anche nell’epoca dei social. Che la distribuzione debba articolarsi sui negozi. E che il prezzo è un simbolo del valore del capo.
La strategia di MooRER
Innanzitutto, la distribuzione. “Credo molto nel retail fisico – ha detto Faccincani a Il Sole 24 Ore – e appena superata l’emergenza abbiamo fatto grandi investimenti in Asia, aprendo a Hong Kong in ottobre, riprendendo la strategia di sviluppo decisa prima del Covid, con l’inaugurazione dello store di Tokyo. Il programma a breve prevede aperture in Cina, e il rafforzamento della presenza in Corea”. Ma non ci sarebbe una logica distributiva se non ci fosse, prima, un contenuto da distribuire. Per Faccincani, che è professionalmente cresciuto “in un’azienda terzista”, cioè la ditta di piumini della madre, “il sogno” è sempre stato “lanciare un marchio proprio: nell’affollato mondo della moda bisogna avere un’identità riconoscibile fin dall’inizio. Che poi va continuamente rafforzata, soprattutto col prodotto. Non credo alle scorciatoie di puro marketing, anche nell’era dei social network”.
Il valore
A proposito dei dati, MooRER (partecipata da Borletti Group) riparte dai 34 milioni di euro fatturati nel 2020. Faccincani in che segmento colloca la sua creatura? “Se proprio dobbiamo usare la parola lusso, direi che il nostro è un lusso discreto – risponde –. Non siamo mai scesi a compromessi sulla qualità né sul made in Italy: ogni capo ha un prezzo, certo, ma sarebbe meglio dire che ha un valore”.
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