TheOneMilano si avvicina, ma per la pelliccia il 2018 è duro: la Cina frena, il valore della produzione cala del 6,7%

Gli organizzatori non lo negano. La quinta edizione di TheOneMilano, la fiera del prêt-à-porter (Fieramilano City, 22-25 febbraio) nata dall’unione di Mifur e Mipap, si avvicina in un contesto complesso. Perché? Pesano sui settori dell’abbigliamento e della pellicceria “la difficoltà di fare impresa in un’Italia contraddistinta da uno scenario economico e politico che crea qualche perplessità e in cui i consumi non danno segnali di ripresa”, recita il comunicato di TheOneMilano. Non solo: “L’export è oggi reso complesso dalle congiunture internazionali, dalla minaccia della Brexit e dalla situazione dei dazi”, si legge sullo stesso documento.
Le attese
Per la prossima edizione di TheOneMilano, intanto, a fine gennaio risultavano preregistrati 8.000 buyer, pronti a incontrare i 393 brand espositori (212 italiani). Intanto, secondo il Centro Studi di Confindustria Moda, i dati di preconsuntivo fotografano un 2018 non facile per la pellicceria italiano. Il valore della produzione a livello retail si attesta a oltre 1,2 miliardi di euro, il 6,7% in meno rispetto al 2017. “Il dato va letto tenendo in considerazione due importanti elementi che lo compongono – spiega il presidente di TheOneMilano, Norberto Albertalli –. Il primo è legato alla diminuzione del prezzo delle pelli da pellicceria: il calo è stato causato dal fatto che la Cina ha ridotto notevolmente gli acquisti per privilegiare la produzione interna. Il secondo elemento è legato al mutamento dell’incidenza delle tipologie di committenza della produzione di pellicceria italiana – continua Albertalli –. Considerando le quote percentuali delle diverse committenze, infatti, si evidenzia una sostanziale stabilità della produzione realizzata per i marchi di pellicceria (che avevano sul totale uno share del 46% nel 2017 e del 47% nel 2018), una diminuzione della produzione per le griffe (passate da uno share del 43% a uno share del 41%) e un aumento della produzione per i marchi di abbigliamento (passati dal 10% al 12% nei due anni in esame)”.

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