Il Tribunale indiano per i reati ambientali, l’NGT (National Green Tribunal), ha pubblicato un documento di 543 pagine per indicare una serie di misure che le industrie che insistono sulle sponde del Gange sono, per così dire, invitate a rispettare, pena sanzioni fino a 50.000 rupie (circa 700 euro). L’industria della pelle, considerata dalle autorità indiane il principale responsabile del disastro ambientale del Gange, è nel mirino. Allo Stato dell’Uttar Pradesh sono state concesse 6 settimane per sbaraccare il distretto di Jaimau spostando le concerie in altro sito, mentre ha imposto ai distretti conciari di Banther e Unnao di dotarsi di impianti di trattamento delle acque per lo smaltimento del cromo entro 4 settimane. Si dirà che era pure ora che la concia indiana si adeguasse agli standard internazionali. Ma le vicissitudini del vicino Bangladesh insegnano che l’esito di certe operazioni di trasloco non è mai scontato. A mesi dalla tanto auspicata chiusura del distretto di Hazaribagh, quello (nelle intenzioni moderno) di Savar naviga ancora in alto mare. A quanto si apprende delle 155 concerie che vi operano (e che hanno appena beccato una multa dalla Corte Suprema per il ritardo con il quale vi si sono trasferite), solo 9 sono attualmente fornite di gas.
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