Era il febbraio 2021 quando Oliver Heilmer, head of Design di Mini, annunciava dalle colonne di Autocar un futuro leather-free per il suo brand. Le parole di Heilmer, come è giusto aspettarsi, suscitarono un certo stupore e un certo dibattito. Perché il manager associava la scelta di abbandonare la pelle a una sua (del tutto presunta) “non sostenibilità”. E anche ICT, l’ente che rappresenta la concia su scala globale, intervenne per spiegare che la mossa di Mini, posta in termini appunto di sostenibilità, non aveva basi scientifiche. Era, d’altronde, un periodo delicato. Sembrava che nel comparto delle quattro ruote ci fosse un’emorragia: nel giro di pochi mesi anche BMW e Volvo avevano annunciato la svolta vegan. Torniamo a oggi. Da febbraio 2021 sono passati 27 mesi. E Mini la pelle la usa ancora.
Certe dinamiche mediatiche
Sia chiaro: a noi fa piacere che Mini nei pacchetti per gli interni offra ai clienti morbida nappa per i sedili e per il volante. O che nella descrizione delle proposte premium vanti l’impiego della “più raffinata pelle pieno fiore”. Ci auguriamo lo faccia per lungo tempo, magari per sempre. Ci sovviene però, col senno di poi, qualche perplessità su un’intervista così tranchant come quella del 2021. Perché da un punto di vista industriale era evidentemente prematura. Mentre forse i toni assertivi servivano più a comparire in rassegna stampa in un modo ammiccante per il pubblico veg, che per spiegare davvero le strategie del brand. D’altronde, abbiamo già osservato la curiosa parabola di Polestar, marchio del gruppo Volvo, passato nel giro di qualche anno da un approccio radicalmente animal-free a uno “vegan first”, ma in stabile partnership con la conceria Bridge of Weir. Ci viene da pensare, insomma, che un certo animalismo sia puramente di facciata: leather-free sui giornali, in pelle in concessionaria.
Foto di rivestimenti in pelle da Mini
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