Mini elimina la pelle dalle sue vetture. Lo annuncia Oliver Heilmer, head of Design del brand del gruppo BMW, ad Autocar. Lo fa, però, sulla base di argomenti che secondo noi soffrono di una certa fallacia logica. “Non ne abbiamo più bisogno – dice, esercitando fin qui il suo diritto alla libertà di pensiero –, perché non crediamo che sia sostenibile”. E qui, invece, ci salta la mosca al naso: che cosa sarebbe sostenibile, allora, secondo Mini?
Mini elimina la pelle
Dunque, secondo Heilmer “avrà prodotti moderni e di alto valore” anche “senza pelle”. Qual è l’alternativa? “Materiali riciclati, ma lussuosi allo stesso tempo”, risponde, come il sughero. Vediamo gli esempi: “Il tessuto dei sedili è ora riciclato al 100% – continua –. La fodera sottostante è riciclata al 70%. Stiamo cercando di creare un design senza tempo. Un design buono per una sola stagione, come nel fashion, non è il nostro obiettivo”.
Il discorso non fila
Il discorso di Heilmer, però, non fila. Il manager Mini, se è interessato al riciclo, dovrebbe sapere che la concia è una espressione tipica dell’economia circolare: raccoglie uno scarto e, tramite un processo di upcycling, lo trasforma in un materiale nobile. La pelle grezza, se non passasse attraverso i bottali, finirebbe in discarica. Perché i bovini sono allevati per la carne e il latte e, come dimostrano i casi di cronaca dell’ultimo anno, il mercato della pelle finita vive di cicli scollegati da quelli dell’industria zootecnica. Nel ragionamento di Mini c’è una falla: se il sughero riciclato può essere considerato di lusso, perché escludere la pelle dagli interni, che circolare e di lusso lo è già?
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