La filiera europea dell’automotive riparte. Le fabbriche tornano a lavorare in quasi tutti i Paesi, ma non in Italia, dove il governo potrebbe autorizzare la ripresa dal 27 aprile. I brand riaprono a ritmo ridotto. In primis a garanzia della salute degli addetti: servono modi diversi di vivere gli spazi di lavoro per non lasciare che riprenda il contagio. Ma anche perché il mercato dell’auto è in frenata, condizionato com’è dal Coronavirus.
I brand riaprono a ritmo ridotto
Il 14 VolksWagen e Audi hanno ricominciato le attività in Ungheria. Nella stessa settimana Hyundai ha riaperto in Repubblica Ceca. Oggi il gruppo Volvo riapre i suoi stabilimenti in Svezia e in Belgio. Renault ha già avviato le produzioni in Portogallo e dovrebbe farlo a breve in Romania. Toyota annuncia la ripresa nei due impianti che controlla in Francia per il 22 aprile, il giorno successivo è il turno della Polonia. Mentre negli Stati Uniti ancora non si hanno tempi certi della ripresa, nel Vecchio Continente l’industria dell’auto riavvia i motori. Non solo i brand, ma tutto l’indotto. Il 16 aprile, ad esempio, la multinazionale Magna Steyr per la prima volta ha richiamato a lavoro tutti i 2.000 addetti dello stabilimento di Graz (Austria), fornitore di Mercedes: non accadeva da oltre un mese. FCA e Ferrari sarebbero pronte, ma aspettano, dicevamo, il disco verde dal governo italiano.
Intanto il mercato
Il contesto di mercato è negativo, ça va sans dire. Secondo ACEA, l’associazione dei costruttori europei, nel mese di marzo le vendite hanno registrato il 51,8% in meno su base annua. Il primo trimestre del 2020, dunque, registra il -26,3%. Mentre si invocano misure di sostegno alla domanda, come incentivi alla rottamazione, resta la consapevolezza che anche i risultati del mese di aprile non possono che essere di segno meno.
Sicuro, lento
Le case automobilistiche, racconta Financial Times, devono garantire la sicurezza dei lavoratori. Non è semplice: “Chiudere è facile, molto più difficile è riaprire – spiega Hakan Samuelson, CEO di Volvo –. Il lockdown non può essere una soluzione a lungo termine. Non possiamo aspettare il vaccino, dobbiamo imparare a vivere e lavorare in modo sicuro”. C’è un filo conduttore tra le strategie dei brand: che si decida di ridurre la velocità di produzione, di modo che gli operai possano essere attenti al social distancing, o i turni, di modo che gli addetti debbano stare meno tempo in fabbrica, tutti rinunciano alla piena produttività. Un sacrificio, però, in linea con il mercato. “L’efficienza ci perde fino al 20-30% – osserva con la stessa testata Tim Lawrence di PA Consulting –, ma d’altronde quando la domanda è in calo, l’output produttivo deve comunque adeguarsi”.
In foto, un’immagine d’archivio Faurecia
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