Exploit dei calzaturifici di Lombardia e Puglia, crollo di quelli di Campania e Marche. Con un mercato interno stagnante, la salute dei distretti si gioca prevalentemente sulla loro capacità di esportare. Abbiamo preso come riferimento il valore delle esportazioni del primo trimestre 2013 (prima della crisi russa, dunque, scoppiata nel 2014) e l’abbiamo confrontato con il 2019. Un periodo di sei anni che sembra breve, ma durante il quale il mercato è totalmente cambiato, con lo sviluppo delle vendite online, l’affermazione della sneaker e tanti altri fattori economici e finanziari, sia a livello mondiale che in Italia. La media nazionale segnala un complessivo +17,35%. Come hanno reagito le regioni italiane della calzatura?
I fattori di successo
Rielaborando i dati forniti da Assocalzaturifici, è la Lombardia quella che è riuscita meglio a interpretare i cambiamenti del mercato e a trovare un modello di business vincente, visto che il valore dell’export regionale è cresciuto del +51,22%. Al secondo posto a livello di performance, troviamo la Puglia che, con un incremento del +48,25%, dimostra di essersi saputa reinventare dopo la crisi della scarpa di volume (Nuova Adelchi e Filanto solo per fare due nomi). Bene anche la Toscana (+28,59%), il Piemonte (+22,56%) e il Veneto (+20%). Quest’ultimo è la regione che esporta più di tutte sia nel 2013 che nel 2019. Leggera crescita per l’Emilia-Romagna (+4,26%).
E quelli di debolezza
Tra le prime otto regioni calzaturiere italiane, solo due hanno un valore negativo, e piuttosto significativo. La Campania, che comunque non molla la contesa, ne esce peggio di tutte, visto che le sue vendite verso l’estero sono crollate del 30%. Al contempo anche l’export delle Marche si è ridotto del 21%, a causa del calo dell’export verso la Russia. (mv)