70 Anni di K2: il progetto che riproduce uno scarpone mitico

70 Anni di K2: il progetto che riproduce uno scarpone mitico

Riprodurre uno scarpone mitico. Quello che il 31 luglio 1954, per la prima volta nella storia, raggiunse la cima del K2. Non sarà solo un esercizio di stile per gli allievi del Politecnico Calzaturiero del Brenta. In altre parole, l’obiettivo del progetto 70 Anni di K2, è far apprendere le tecniche del passato non solo per non dimenticarle, ma soprattutto per riscoprire la loro efficacia e validità.

Uno scarpone mitico

Tutti i componenti della spedizione che nel 1954 portò uno scarpone mitico e Lino Lacedelli alla conquista del K2 indossavano scarponi prodotti dal Calzaturificio Giuseppe Garbuio di Montebelluna (Treviso) con il marchio La Dolomite. L’azienda veneta utilizzò il cuoio della Conceria Pietro Presot di Porcia (Pordenone) e la suola in gomma di Vibram. Gli allievi del corso Calzature Fatte a Mano del Politecnico Calzaturiero di Vigonza (Padova) sono chiamati a riprodurli, con la stessa tecnica. Il progetto 70 Anni di K2 vedrà la riproduzione di tre tipologie di scarpone da utilizzare, poi, per compiere la marcia di avvicinamento, portare gli scalatori fino a quota 7.000 metri e, infine, completare l’assalto alla vetta.

 

 

70 Anni di K2

Il progetto è ideato e promosso da Politecnico Calzaturiero, insieme al Calzaturificio Armond di Maser (Treviso) che metterà a disposizione il reparto di modelleria e sviluppo prodotto. Al progetto – ovviamente – partecipano anche Conceria Pietro Presot e Vibram. C’è anche la collaborazione della Fondazione Sportsystem e del Museo dello Scarpone di Montebelluna che hanno reso possibile lo studio di alcuni pezzi originali (foto a sinistra).

Per non dimenticare

“Il progetto ci aiuta a riscoprire, imparare e divulgare le tecniche manifatturiere del passato” spiega il direttore tecnico di Politecnico Calzaturiero, Alice Marcato. “Grazie a questa iniziativa, non solo manteniamo viva la memoria storica delle antiche pratiche artigianali. Offriamo anche ai nostri studenti un’opportunità unica di confrontarsi con metodi di lavorazione che, altrimenti, rischierebbero di essere dimenticati”. (mv)

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