“Voglio invitare persone influenti e creative a venire a fare un picnic con noi. Non ho bisogno di soldi. Ho bisogno dei loro flussi di energia. La loro visione e interpretazione del marchio”. Parole di Oliver Reichert, CEO di Birkenstock dal 2012, che punta sulle collaborazioni per evitare che “l’azienda diventi un mausoleo”. Il che pare pure semplice, visto quanti brand e griffe cercano una co-lab con lo storico marchio tedesco. Per esempio, Manolo Blahnik (foto a sinistra), che ha di recente realizzato una sua collezione con Birkenstock. Oppure, quella con la conceria USA Horween, sfociata in alcuni modelli confezionati con la pelle usata per i palloni della NFL (foto a destra).
Non ci servono soldi
Birkenstock va a gonfie vele grazie (anche) alle collaborazioni con i marchi di lusso che hanno sdoganato i sandali sulle passerelle di moda. Una delle più recenti è quella con Dior e con il suo direttore creativo delle linee Uomo: Kim Jones. Birkenstock ha uno stabilimento da 36.000 metri quadrati a Görlitz, in Germania, aperto nel 2009, operativo 24 ore su 24, 5 giorni alla settimana. Ci lavorano 1.900 dipendenti che producono 80.000 paia di sandali al giorno. Il marchio, controllato da L Catterton (LVMH), sta costruendo il suo quinto stabilimento tedesco nelle sue vicinanze.
Le concerie italiane
In un’intervista rilasciata al Financial Times, Oliver Reichert ricorda i momenti più duri della pandemia, con un particolare riferimento all’Italia. “Quando abbiamo visto la situazione in Italia, siamo diventati molto preoccupati per le persone nelle concerie con cui lavoriamo”. Il discorso è poi finito inevitabilmente sulla produzione e sulle collaborazioni che hanno consentito al marchio di alimentare l’hype nei suoi confronti. Alla domanda se d’ora in avanti Birkenstock collaborerà con i marchi LVMH, Reichert risponde: “Non necessariamente. Nessuno mi ha parlato di questo”. Mentre, invece, conferma di ricevere una continua pioggia di richieste di collaborazione.
Almeno copiateci come si deve
Ma c’è chi non chiede e lo fa. Ci sono marchi che “hanno deciso di copiarci“, dice senza mezzi termini Reichert. “Ma se hai intenzione di fare una remix, almeno dovrebbe essere un buon remix“. (mv)
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