“Caro Donald, ripensaci. O, per lo meno, lascia le calzature fuori dalla contesa”. A firmare la lettera che chiede all’inquilino della Casa Bianca di seppellire l’ascia di guerra (commerciale) con la Cina sono aziende e retailer calzaturieri USA di tutti i tipi e di tutte le dimensioni. Nell’elenco compaiono marchi di tutte le dimensioni, partendo da Nike, passando da Foot Locker e arrivando a Under Armour, una platea tanto vasta quanto la varietà di calzature che può finire coinvolta nell’escalation daziaria della trade war in corso tra Washington e Pechino. A finire nelle maglie strette delle nuove barriere doganali ci sono sneakers, sandali, stivali, calzature tecniche e tutte le altre tipologie, fino agli scarponi da sci. Sono due le questioni, riporta la stampa internazionale, che tengono i marchi sulle spine: innanzitutto, come già evidenziato da FDRA, le conseguenze sui consumi statunitensi dell’impennata dei prezzi dei prodotti. In seconda battuta, gli effetti sulla supply chain per una platea di aziende strettamente legate alla Cina. Non è semplice pensare di portare le produzioni in altri Paesi asiatici, argomentano i brand, perché quella della calzatura “è un’industria ad alta intensità di capitale”, che richiede “anni di pianificazione”. La soluzione per Nike & co è una: “Questa guerra commerciale deve finire”.
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