Più qualità e meno quantità. Una strada che la calzatura italiana ha imboccato già da qualche stagione e che si riconferma nei primi nove mesi del 2018.
Più qualità con la scarpa made in Italy che nel periodo gennaio-agosto 2018 fa il record di valore nell’export: +3,7% sullo stesso periodo del 2017 e sfiora i 6,5 miliardi di euro.
Meno quantità perché, nei primi 8 mesi del 2018, le paia vendute all’estero sono diminuite del 3,1% a 143,6 milioni e perché i risultati dell’indagine a campione condotta dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici spiegano che nei primi 9 mesi c’è stato un calo della produzione del -2,4%, con la “postilla” di luglio-settembre, quando la riduzione è stata doppia, raggiungendo il -5%. In Italia si vendono solo le sneaker, unico segmento in crescita. All’estero la situazione è più complessa: bene Cina, Svizzera, Usa e Canada; male Medio Oriente, Giappone, Francia, Spagna, Olanda e, soprattutto, Russia. Dopo un parziale recupero del 2017, a Mosca è tornato il gelo: nei primi 8 mesi 2018 -11,3% in volume, con un ulteriore peggioramento rispetto al -9,6% del primo semestre. “I livelli attuali di quest’area purtroppo restano al di sotto di quasi il 50% in valore rispetto allo stesso periodo 2013 pre-crisi – afferma Annarita Pilotti, presidente di Assocalzaturifici (nel riquadro) – e questo spiega le forti difficoltà che devono affrontare le aziende dei distretti da sempre votati a questo mercato e, più in generale, all’area CSI”. Il riferimento va a Marche ed Emilia-Romagna, in particolare. A livello demografico, da gennaio a settembre in Italia hanno chiuso 120 calzaturifici, mentre gli addetti sono calati di 314 unitàrispetto al 31 dicembre 2017. Allargando alla componentistica, i saldi negativi salgono a -212 aziende e -672 addetti. Pesante la situazione nelle Marche con 103 imprese perse e 832 posti di lavoro in meno. (mv)
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