Calzaturieri marchigiani sul piede di guerra. Casus belli: il taglio del costo del lavoro del 30% per le regioni meridionali (il cosiddetto Sconto Sud), a partire dal vicino Abruzzo. Temono la fuga delle commesse che le griffe del lusso potrebbero dirottare a sud dove i terzisti potranno praticare prezzi migliori. Le associazioni locali lanciano l’allarme: “Alcune imprese marchigiane stanno chiedendo informazioni sull’iter da compiere per trasferirsi in provincia di Teramo”.
Sul piede di guerra
Dal 1° ottobre e fino al 31 dicembre 2020, le aziende attive nel Sud Italia potranno usufruire del taglio del costo del lavoro del 30%. Secondo i piani del Governo Conte, che deve aprire un negoziato con l’Unione Europea, il provvedimento dovrebbe durare 10 anni, decrescendo dal 2025. Tra le motivazioni che hanno spinto il Governo Conte: favorire (anche) il reshoring.
Dicono Fenni, Melchiorri e Badon
Per Valentino Fenni, presidente della Sezione Calzature di Confindustria Centro Adriatico: “È un provvedimento insensato”. In 30 mesi (tra il 2018 e il primo semestre 2020) la scarpa marchigiana ha perso 323 aziende e 2.412 addetti. Non a caso, il distretto Fermano-Maceratese è Area di Crisi Complessa e l’attuale “sconto Sud”, dicono nelle Marche, potrebbe dargli la spallata decisiva. Quindi, i calzaturieri marchigiani hanno chiesto la sua estensione anche a queste Aree, ma i primi feedback giunti da Roma sarebbero negativi. “Il provvedimento si può migliorare. Combattiamo ogni giorno le produzioni a livello europeo, ci ritroveremo a combattere anche con i nostri amici abruzzesi, campani e pugliesi” afferma Giampietro Melchiorri, vicepresidente Assocalzaturifici. Chiamato a dare un parere sulla questione, il presidente Assocalzaturifici Siro Badon invoca “equità di trattamento del settore da Nord a Sud, con stessi contratti e parametri” e no “a provvedimenti che spaccano”. (mv)
Foto di repertorio, Archivio La Conceria
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