Così le pantofole di lusso Farfalla resistono alla congiuntura

Così le pantofole di lusso Farfalla resistono alla congiuntura

Dalla bottega del nonno Checco ad un’azienda di “italian slippers” che vende in tutto il mondo. La storia del brand marchigiano Farfalla, specializzato nella creazione di pantofole di lusso, soprattutto in pelle, ha origini molto lontane. “Hanno fondato l’azienda nel 1955 mio padre Alfeo e mia madre Aurora – ci racconta il titolare Stefano Raffaeli (in foto) –. Ora la guidiamo io e mio fratello Nicola”. Ma la passione per le calzature in famiglia è partita da Francesco Raffaeli, il primo ad avere “il sogno di creare calzature pregiate e uniche nel loro genere: mio nonno faceva il calzolaio negli anni in cui il calzolaio era quello che realizzava le scarpe, non solo le riparava”. Abbiamo intervistato l’imprenditore di Camerata Picena (Ancora) allo stand di Pitti Uomo 106.

Dalle Marche al mondo

Come si è sviluppato il vostro business?
Quando è nato il brand si rivolgeva più alla donna. Col tempo abbiamo virato verso l’uomo perché il mercato era più vantaggioso. Ora sono già quasi 30 anni che siamo focalizzati sul menswear.

 

 

Qual è il vostro prodotto di punta?
Principalmente le pantofole di lusso per la casa. Con la stessa lavorazione artigianale con la quale facciamo le slipper con il “fondo America” abbiamo iniziato a realizzare anche scarpe per uscire, come i sandali in pelle cuciti a mano. Attualmente sono il 30% della nostra produzione, rispetto al 70% delle pantofole.

Quali sono i vostri mercati di riferimento?
Non siamo profeti in patria. Lavoriamo poco con l’Italia. I nostri mercati sono la Francia, il Lussemburgo, il Belgio e l’Inghilterra. Lavoravamo bene anche con la Russia e con i paesi dell’Est. Per fortuna, malgrado la guerra, stiamo riuscendo a mantenere i contatti commerciali. È un mercato in cui piace ancora molto un bel prodotto di lusso anche per stare in casa.

Producete anche per i brand?
Sì, ma per fortuna non tanto. Perché ora c’è stata questa frenata e siamo contenti di non aver puntato tutto sul terzismo. Soprattutto non su un solo brand.

Pensa che legarsi troppo a un brand esterno possa essere controproducente?
Lavorare e investire solo per un brand per un’azienda calzaturiera è la cosa più sbagliata che si può fare. È troppo rischioso. (mvg)

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