A Donald Trump non bastava il fronte già aperto con la Cina (per non parlare di quello con l’UE). Così come non ha ritenuto che alleggerire i dazi sull’import di alluminio e acciaio da Messico e Canada (premessa che ha consentito ai Paesi di discutere migliori condizioni anche per l’interscambio di carne) significasse il miglioramento complessivo delle relazioni con i partner nordamericani. Anzi. L’inquilino della Casa Bianca ha scatenato una nuova guerra commerciale annunciando un programma progressivo e crescente di tassazione sui beni provenienti da Città del Messico: dal 10 giugno entrerà in vigore un dazio al 5%, che diventerà del 10% dal primo luglio, poi del 15% dal primo agosto, del 20% da settembre e del 25% da ottobre. Per bloccare l’escalation, il Messico si dovrà dimostrare più collaborativo nella gestione dei flussi di migranti latinoamericani che premono al confine meridionale degli States.
Le reazioni
La stampa internazionale osserva come, adesso, il presidente messicano López Obrador, in carica da appena 6 mesi, sia col cerino in mano: l’80% dell’export del Paese è indirizzato verso Washington. Ma la recrudescenza mette in difficoltà anche le corporation USA: parlando con CNN, Neil Bradley, ceo di US Chamber of Commerce, definisce la mossa di Trump “la più sbagliata possibile: la pagheranno le famiglie americane”.
Lo scotto per la pelle
Di recente in Messico ha aperto Wollsdorf, mentre già vi hanno facilities gruppi conciari come GST AutoLeather e Bader o manifatturieri come Lear. Le filiere statunitensi della calzatura e delle quattro ruote di Messico e USA sono strettamente connesse: ne consegue che anche la filiera della pelle è coinvolta nella battaglia. Ancora a CNN, David Schwietert, ceo di Auto Alliance Manufacturers, spiega che i dazi si riveleranno un costo per i consumatori statunitensi e una minaccia per gli investimenti e i progressi fatti dalle aziende USA oltre confine. Matt Priest, presidente e ceo di FDRA, si dice invece preoccupato dall’attitudine dimostrata dall’amministrazione Trump: “Semplicemente non ha senso imporre gravi aumenti delle tasse come merce di scambio per negoziare con il Messico o la Cina – afferma in una nota –. Il Messico serve come luogo prossimo di approvvigionamento per produrre scarpe in pelle di qualità a prezzi accessibili”.
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