Non c’è pandemia che tenga: Velasca non si ferma. A ottobre debutterà la collezione femminile, mentre procede spedito il piano di aperture di quelle che il brand definisce “botteghe”. Il tutto all’insegna di un artigianato made in Italy “molto fragile” causa delocalizzazione e mancanza di ricambio generazionale. Enrico Casati (a sinistra, nella foto) e Jacopo Sebastio (a destra), i due fondatori, allora chiamano in causa il Governo per elevare l’Italia a “laboratorio e museo a cielo aperto”, come ci spiegano in questa intervista insieme a molto altro.
Velasca non si ferma
Qual è l’attuale trend dell’azienda?
L’andamento è in forte crescita: +100% circa sul 2020, nonostante il perdurare della pandemia, visto che più si sta in casa meno si compra abbigliamento e scarpe. Il tutto, con un focus rinnovato sui tre pilastri principali di crescita: online, casual ed export.
Cosa bolle in pentola?
Abbiamo prospettive di espansione con il lancio della collezione donna e di una brand extension per posizionare Velasca come marchio lifestyle sinonimo del “bello e ben fatto, all’italiana”. Abbiamo in programma l’apertura di alcune botteghe dopo quella di New York (il mercato USA sta crescendo molto ed è il terzo dopo Italia e Francia). Poi Napoli, Danimarca, Germania e Zurigo entro il 2022.
I consumatori acquistano scarpe diverse rispetto a prima della pandemia?
Decisamente si, il trend principale è la “casualisation”: anche negli uffici ci si va più informali. Ormai il trend vuole un abbigliamento “classic casual”, piuttosto che formale.
Come intendete potenziare l’esperienza di acquisto?
Sicuramente attraverso soluzioni 3D online per il prodotto e, anche, realtà aumentata quando sarà pronta. Poi: app per il virtual try on e il suggerimento di taglia. Infine: maggiore capillarità per i negozi.
Il modello produttivo
Come è suddivisa logisticamente la produzione Velasca?
L’80% delle scarpe sono prodotte a Montegranaro, nelle Marche, ma abbiamo produttori anche in Friuli e Abruzzo. Le borse sono fatte in Lombardia, le cinture in Toscana e i kit per la cura della scarpa in Veneto.
Qual è, dal vostro punto di vista, la situazione dell’artigianato italiano?
Molto fragile, soprattutto per le delocalizzazioni in Paesi come Romania, Albania, Tunisia, Cina e Vietnam. Ma anche per il ricambio generazionale che pone dei forti rischi per i prossimi 5-10 anni.
Quale futuro c’è (se c’è) per artigiani e distretti italiani?
Il futuro è la produzione di qualità: coniugando manualità artigianale con le nuove tecnologie.
Bello e ben fatto, all’italiana
C’è davvero questa necessità di aggregazione aziendale di cui tutti dicono e in pochissimi perseguono?
Più che altro, insieme al rilancio del turismo, c’è la necessità di una spinta dal governo per rilanciare la produzione made in Italy, in modo da posizionare l’Italia come “laboratorio e museo a cielo aperto”.
Velasca come declina il concetto di sostenibilità?
La prima regola della sostenibilità è la responsabilità sociale nei confronti delle famiglie degli artigiani con i quali lavoriamo tutti i giorni a quattro mani. Quindi, lo sviluppo del territorio che porta lavoro, dignità, benessere e futuro. Inoltre, ci riforniamo solo da concerie italiane e europee che rispettano gli standard ambientali dell’Unione Europea, i più stringenti al mondo.
Come vedete Velasca tra 3-5 anni?
Velasca come sinonimo del “bello e fatto bene, all’italiana” e non solo per quanto riguarda la scarpa maschile. Puntiamo a vendite divise equamente tra Italia e estero tra 3 anni, per passare al 40% Italia e al 60% estero tra 5 anni. (mv)
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