Fedele, confusa, difficile: la scarpa da uomo secondo Calpierre

Fedele, confusa, difficile: la scarpa da uomo secondo Calpierre

Il consumatore maschile è il più fedele, ma è l’ultimo della famiglia a comprare. È sempre più digitale, ma anche più confuso in relazione, soprattutto, alla sostenibilità. La quale, però, non l’unico fattore a rendere molto difficile il mercato della scarpa da uomo. A sostenere quanto scritto fin qui è Ciro Nevano, export manager di Calpierre, denominazione sociale (come si legge online) del Calzaturificio De Pascale nato a Ercolano (Napoli) nel 1964. Fondata da Ciro De Pascale, oggi l’azienda è giunta alla terza generazione ed è guidata da Vito De Pascale. Specializzata nell’uomo, dal 1992 ha affiancato anche la collezione donna.

La scarpa da uomo

Quali sono le vostre prospettive attuali?

Vogliamo tutti ripartire, ma in realtà non sappiamo con certezza né quando accadrà davvero, né in che modo.

Come vede il mercato della scarpa da uomo?

Molto difficile per la calzatura di segmento premium. È un mercato piuttosto statico. In famiglia l’uomo è l’ultimo a comprarsi le scarpe. Ma c’è da dire che se si trova bene difficilmente cambia brand. In altre parole, è piuttosto fedele anche se i più giovani lo sono meno dei loro genitori e si dimostrano più aperti.

Parole chiave

Quanto interessa la sostenibilità?

Proviamo a essere green, ma incontriamo molte difficoltà. Ci scontriamo con messaggi falsi secondo cui i cosiddetti materiali alternativi, spesso plastica, sono più sostenibili della pelle. Così come è difficile pensare che il processo produttivo di una sneaker (spesso realizzata con fasi di lavorazione effettuate all’estero) possa esser sostenibile. C’è una gran confusione che arriva al consumatore finale.

L’altra parola chiave è digitalizzazione…

Le aziende devono rivolgersi ad un consumatore sempre più digital. Allo stesso modo l’impresa è chiamata ad applicarla anche nella fase di progettazione della calzatura, magari attraverso il 3D. Le declinazioni sono molte…

 

 

Aggregarsi, fondersi oppure no

Qual è la vostra dimensione aziendale?

Nel 2019 abbiamo sviluppato circa 10 milioni di euro di fatturato (quota export 50%) e abbiamo 50 dipendenti.

Per avere le risorse da investire in digitale e sostenibilità non è meglio aggregarvi o fondervi?

Noi crediamo in aggregazioni e fusioni, ma dall’altra parte non vediamo una mentalità ancora pronta ad aperture di questo tenore. Questo vale per più aree geografiche e per più settori di attività. Credo che l’egoismo aziendale vada superato, ma forse questo non è proprio il momento favorevole per compiere questo salto. (mv)

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