I primi 8 mesi 2018 della scarpa italiana: meno volumi, più valore, exploit svizzero. Prezzo medio: +7%

Per la scarpa italiana l'orizzonte è cupo

Otto mesi di export della calzatura italiana, secondo i dati diffusi da Assocalzaturifici, dimostrano che l’asse produttivo si è radicato (ulteriormente) sull’alto di gamma e sulla gestione della produzione conto terzi. Da gennaio ad agosto 2018, la Francia è la prima destinazione e cresce del 7,8%, mentre la Svizzera balza al secondo posto grazie a un incremento del 18,5%. Al terzo la Germania (+2,4%) che conferma stabilità e affidabilità. Bene il mercato asiatico con Cina +23,1% (che compensa il -8,4% di Hong Kong), Corea +11,6%. Buono il trend del Canada (+14,5%), favorito dagli accordi commerciali del trattato CETA. Male la Russia (-9,7%). Da notare come le calzature in pelle valgano il 72% del valore complessivo esportato. Che la scarpa italiana si stia sempre più spostando verso l’alta qualità, richiesta dalle griffe del lusso, è testimoniato anche dal fatto che nei primi 8 mesi 2018, il settore ha aumentato le vendite all’estero del 3,7% in valore ma ha ridotto le quantità del 3,1%, con un prezzo medio che è cresciuto del 7%, oltre 45 euro al paio, di gran lunga il più alto d’Europa.

A proposito di Germania: nei primi nove mesi del 2018 l’export verso Berlino è salito dell’1,9% in valore, nonostante un arretramento della calzatura da donna, il segmento più importante, che genera il 45% del fatturato, mentre circa il 50% deriva dalla vendita di scarpe in pelle. Il trend decennale, valutato sul periodo 2007-2017, conferma l’aumento di valore a fronte di un minor volume: la paia sono passate da 45 a 33 milioni, il fatturato da 914 milioni a un miliardo di euro. (mv)

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