La scarpa italiana chiude, come spiega Tommaso Cancellara (direttore generale Assocalzaturifici) e segue alla lettera il DPCM pubblicato ieri. Ma cerca anche di valutarne le implicazioni. “In base al decreto le aziende calzaturiere italiane porteranno a conclusione le lavorazioni in corso nei tempi previsti. E mercoledì chiuderanno”. Impossibile, per quanto ci si provi, è, invece, ipotizzare l’impatto dell’emergenza CRV sul settore calzaturiero italiano. Troppo presto, forse, anche in relazione a come l’epidemia si sta diffondendo nei Paesi, europei e non.
Le cose da capire
Prima di tutto, c’è tutta una parte molto complessa da capire e gestire, spiega Cancellara. È quella legata allo sviluppo dei contratti commerciali, alle cancellazioni, ai rinvii, per la quale “abbiamo attivo un servizio legale gratuito”. Poi, c’è un aspetto più legato all’elenco di chi può e non può produrre dal 25 marzo al 3 aprile. “Resta da capire cosa fare con chi produce calzature tecniche e di sicurezza per tutte le attività che devono garantire la regolarità della produzione. Poi c’è CIMAC che sviluppa prove chimiche, fisiche e certificazioni CE. Per esempio, in relazione ai guanti da lavoro: per ora, non si ferma sperando di interpretare correttamente il decreto”.
La testimonianza dalle Marche
“In questa stagione – dice Marino Fabiani da Fermo, nelle Marche – la produzione era stata diluita. Per esempio, alcuni accessori made in Cina erano arrivati in ritardo, poco prima di Micam. Per cui oggi abbiamo delle scarpe in manovia, altre calzature ferme in magazzino che non possono essere più spedite e altre ferme nei magazzini degli spedizionieri perché non vengono ritirate. Che ne faremo quando riapriremo? Fatturato e incassi sono fermi: come adempiremo ai pagamenti in scadenza nei prossimi mesi?”.
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