L’urgenza di mettere in sicurezza un brand storico. La necessità di formattarne il modello di business. L’importanza di dare nuova linfa vitale alla qualità indiscussa e all’heritage di un marchio come Moreschi. Dell’attuale percorso di rivoluzione e rinascita ce ne parla in questa intervista Guido Scalfi di Hurleys, il fondo d’investimento svizzero che da maggio 2020 controlla il calzaturificio di Vigevano. E, sotto vari punti di vista, non si pone limiti. Compreso quello di procedere ad altre acquisizioni nel settore della scarpa.
Rivoluzione e rinascita
Chi è Hurleys?
Da oltre 15 anni Hurleys lavora entrando nel capitale di rischio di aziende che hanno necessità di una ristrutturazione finanziaria e industriale, due aspetti che vanno di pari passo e per i quali abbiamo un know-how consolidato, a prescindere dai contesti operativi. Di solito sono industriali. Nel caso di Moreschi coinvolgono anche il retail.
Come nasce “l’operazione Moreschi”?
Siamo entrati nel capitale, con una quota di poco inferiore al 51% e abbiamo assunto la gestione dell’azienda. Lo abbiamo fatto dopo aver valutato l’altissimo potenziale di un’azienda che aveva grandi problemi di carattere economico, finanziario e necessitava di una rivisitazione del modello di business.
Come lo avete trasformato?
Disboscando in tempi brevi oltre 3 milioni di euro di costi.
Di che tipo?
Moreschi è un’azienda, anche strutturalmente, bellissima, caratterizzata da una grandissima qualità e competenza artigianale. Ma era entrata in una fase molto confusa a livello distributivo, di marketing, di comunicazione e di gestione in genere. Così, abbiamo ridiscusso una serie infinita di contratti quasi sovrapposti e che soffocavano il conto economico e la gestione di tutte le operazioni. Cosa che ha fatto perdere a Moreschi la sintonia con il mercato. Del resto, un’azienda non è un monumento. Se la si tratta come un monumento muore. Questo non significa reinventare tutto, ma dare valore e nuovo senso a tutto il buono che già c’è.
Risultati e cambiamenti
Avete già ottenuto risultati?
Già nel quarto trimestre 2020 abbiamo riequilibrato i conti. Il che è fondamentale per un’azienda che vuole avere un quadro decisionale non dico sereno, ma almeno definito. Ci siamo riusciti senza intaccare la forza lavoro, cosa che non abbiamo alcuna intenzione di fare in futuro, perché non pensiamo ad alcuna ristrutturazione dell’assetto produttivo.
A parte quella del taglio dei costi, quindi, questa valorizzazione che altre direttrici sta seguendo?
La nostra advisory company interna si è immediatamente attivata per costruire un percorso di rilancio che passa attraverso un numero infinito di step. Compreso l’aver portato a produrre da noi alcuni grandi brand italiani e stranieri.
Terzismo 2.0
Quindi prevedete di avviare dinamiche strutturali di terzismo?
Non vogliamo diventare terzisti. Non è questo lo spirito delle partnership che abbiamo attivato e che per noi rappresentano un motivo di grande orgoglio.
A quanto equivale la produzione per altri brand?
La quota è del 10% sul totale della produzione: non abbiamo volontà di ampliarla. Per noi rappresenta un confronto stimolante che ci permette di rendere più performante la nostra attività di brand.
Su cosa si focalizza in termini di prodotto?
Per i nostri partner lavoriamo sia sull’uomo che sulla donna. Quest’ultima scelta rappresenta quasi un’anticipazione, visto che, nella prossima stagione estiva, usciremo anche con una collezione femminile.
Come si interfaccia la vostra advisory company con la manovia di Vigevano?
C’è uno schema chiaro di interazione. Abbiamo valorizzato alcune giovani figure interne, responsabilizzandole. La nostra struttura funge da tutor nei loro confronti e la formula sta dando i risultati attesi.
Il retail e il Poldi Pezzoli
Quali sono i programmi a livello retail?
In modo coordinato con lo sviluppo industriale e di prodotto, stiamo riorganizzando il retail diretto e quello in franchising. Attualmente i negozi di proprietà sono 2, Roma e Milano, e ce ne sarà un terzo a Milano. Poi alcuni outlet, di cui uno in apertura, più lo spaccio di Vigevano. Il franchising, invece, tra i vari obiettivi ha nel mirino la Cina per la quale lo sviluppo delle collezioni femminili è assolutamente funzionale.
L’online?
Valeva il 5%. L’abbiamo “smontato e rimontato” e, oggi, copre il 10% del fatturato. Lo gestiamo tutto all’interno e mostra una redditività importante.
Poi, c’è il nuovo showroom milanese…
Sì. All’interno della struttura del Museo Poldi Pezzoli di via Manzoni. È il gemello diverso dello stabilimento di Vigevano: una location molto particolare, iconica, che crea una partnership fisica e non solo col Museo. È un luogo vivo e culturalmente di altissimo livello, ideale per il nostro obiettivo di rilancio. Al suo interno avrà anche uno spazio ad hoc destinato allo sviluppo di un progetto bespoke che esalti l’eccellenza artigianale di Moreschi e, per estensione, di tutto il distretto di Vigevano.
La formazione, la pandemia, le acquisizioni
A proposito di Vigevano: avete in cantiere anche un progetto formativo?
Sì. Abbiamo raccolto uno stimolo da parte dei sindacati. Il concetto di base è: valorizzare i dipendenti interni, ma porre le basi per farne entrare anche di nuovi, formando giovani. Ne abbiamo parlato con il sindaco di Vigevano visto che possediamo gli spazi e una manovia che possiamo dedicare a questo progetto.
È un progetto aperto al territorio?
Certo: vorremmo essere il catalizzatore calzaturiero del territorio. Ci piace l’idea di poterci riuscire perché il know-how di Moreschi e di Vigevano deve essere rispettato, consolidato, tramandato.
Come?
Proprio perché la nostra base industriale è particolarmente solida, abbiamo in programma di fare altre acquisizioni calzaturiere.
Per concludere: in tutto questo la pandemia che ruolo ha giocato, visto che il vostro ingresso in Moreschi è datato proprio 2020?
Paradossalmente, ha rappresentato un’occasione, perché ha ridiscusso tutto per tutti. Al punto che, una volta, rimessa in equilibrio l’azienda, per Moreschi il 2020 è stato, in termini di numeri, migliore degli anni precedenti.
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