Pou Chen Group (nella foto, uno degli stabilimenti) è il maggior produttore di scarpe sportive al mondo e tra i suoi clienti annovera Nike, Adidas e Reebok. L’anno scorso, Pou Chen ha smontato parte degli impianti cinesi, trasferendoli in Indonesia e Vietnam, smobilitazione che continua nel 2013. Alla fine del 2011, l’azienda disponeva di 255 linee produttive in Cina, divenute oggi 204, mentre in Indonesia è passata da 134 a 137 impianti, e in Vietnam da 140 a 156. Motivo: il costo del lavoro. La manifattura cinese, a giudizio di Asia Footwear Association (Afa), ha perduto il 30% del sistema produttivo a partire dal 2008, tutti impianti che oggi sono stati distribuiti nel sudest asiatico perché nello stesso arco di tempo il salario medio dell’operaio è cresciuto tre volte e mezzo secondo quanto afferma Li Peng, segretario generale dell’Afa, segnalando inoltre che la metà della forza lavoro della città di Dongguan ha lasciato il settore. Il salario mensile nella costa orientale della Cina è oggi all’incirca 500 dollari, 300 in Indonesia e 250 in Vietnam, per cui spostare le fabbriche conduce ad un risparmio annuale di circa 2000 dollari ad operaio. La produzione dei materiali resta comunque sempre cinese perché giunge esentasse, grazie agli accordi dell’area Asean. Se aziende come Pou Chen dispongono delle risorse per riallocare la produzione, non è così per i medio e piccoli manifatturieri e, conclude Li Peng, se il calzaturiero non affronta in modo risolutivo il problema, l’area costiera cinese resterà senza ordinativi in dieci anni, mettendo a repentaglio il lavoro delle 19 milioni di persone a cui fornisce occupazione. (pt)
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