Riccardo Sciutto ci spiega il passaggio di Sergio Rossi a Fosun

Riccardo Sciutto ci spiega il passaggio di Sergio Rossi a Fosun

Ci sono più ragioni che spiegano il passaggio di Sergio Rossi a Fosun Fashion Group. Innanzitutto, il fondo cinese ha messo al centro del progetto la fabbrica, garantendo l’espansione dei livelli produttivi e occupazionali. Inoltre, il nuovo partner sostiene un ambizioso piano di investimenti nella distribuzione in Asia. Ce lo spiega Riccardo Sciutto, riconfermato nel ruolo di CEO della griffe, ma anche nuovo socio di minoranza. Sciutto (nella foto) rivela alcuni retroscena che hanno portato alla cessione dell’azienda a FFG. Potrete leggere l’intervista integrale al manager e socio di Sergio Rossi sul numero 7 del magazine La Conceria, in distribuzione da luglio. Intanto ecco l’anticipazione.

Il passaggio di Sergio Rossi a Fosun

Ora cosa cambia in Sergio Rossi?
Cambia che c’è un partner, anche industriale, potente sui mercati di Cina e Giappone, che insieme valgono oltre il 50% del nostro fatturato. Ed è questa la cosa giusta da fare per noi. In generale il made in Italy si vende per il 50% in Cina, il 10% in Giappone e il 5% in Asia. Solo il 30% si colloca in Europa e States, per cui devo sperare di trovare un partner, come ho trovato, che mi aiuti a vendere tantissimo in tutto il mondo, producendo in Italia.

Cambia che lei da manager sia ora un investitore…
Arrivo da una famiglia di imprenditori. Per me è la fantastica chiusura di un cerchio cui arrivo dopo aver ricostruito la fabbrica, che è al centro del progetto, e conquistato l’Asia.

Quindi non le dispiace, da italiano, finire sotto controllo cinese?
Di fatto Sergio Rossi non è più italiana dal 1999. E oggi è più italiana di prima, visto che sono socio. Inoltre, l’aspetto positivo, che ho voluto difendere, è il made in Italy. Impieghiamo 200 operai su una forza lavoro totale di 420 e produciamo oltre 1.000 paia di scarpe al giorno. Tutti sapevano che io avrei scelto il meglio per la fabbrica e il made in Italy.

Dunque ritiene di aver scelto il partner migliore?
Finché ci sarò io, difenderò il made in Italy fino in fondo. L’ho imparato da Pomellato e da Tod’s. Dopo questa crisi abbiamo poche cose da difendere in Italia: la capacità di saper fare, l’artigianalità, poi le doti manageriali e il turismo. Quando ho incontrato il presidente di FFG gli ho chiesto: perché vuole comprare? Lui mi ha risposto che lo fa per la fabbrica, per il saper fare degli artigiani e per l’archivio. Poi per me e il mio team”. Bene, gli ho risposto, allora il programma è sviluppare il mercato cinese e assumere in Italia.

 

 

La fabbrica, come la chiama lei, resterà la forza di Sergio Rossi?
Certo. Faccio io da garante. C’erano soggetti, anche italiani, interessati a rilevare l’azienda: volevano puntare su finanza e business commerciale. Ma io non butto via il mio asset principale. Devo andare d’accordo con chi sposa questa filosofia, indipendentemente dalla sua nazionalità. Se ci portano via l’artigianalità, i migliori cervelli, cosa ci rimane in Italia?

Come evolverà la fabbrica?
Accelereremo il passo producendo per altri brand controllati da FFG. Ma, attenzione, fabbrica non è solo manovia: è una piattaforma formata anche da servizi. Amina Muaddi, ad esempio, arriva con un disegno e noi facciamo tutto il resto, fatturazione compresa e consegna one-to-one. In questo modo la fabbrica si trasforma in un polo di servizi.

Quindi punterete sui servizi?
Dal punto di vista produttivo mi sento ben attrezzato. Da un lato, fino al campione, realizzo internamente le forme, a mano e in legno. Ma ho il 3D per la progettazione. Il 3D è sostenibilità, perché riduco sprechi e tempi. Quindi prevedo di fare investimenti per evolvere sui servizi e per arrivare a un obiettivo: la fabbrica che parla con il cliente finale. È la sfida dell’Italia dei prossimi anni in tutti i settori.

Per quanti brand produce?
Oggi siamo concentrati su Sergio Rossi e Amina Muaddi, che vanta volumi importanti. Ci ho creduto prima di altri. Ho creduto nei giovani, così come faceva Sergio Rossi, che ha dato fiducia a Dolce & Gabbana e Versace prima che diventassero i colossi di oggi. Fino ad oggi abbiamo fatto due giorni di CIG e siamo in piena produzione: ci sarà una decisa accelerata.

La pelle resterà centrale nelle collezioni?
Chiaro. Da oltre 2.000 anni la pelle è uno scarto dell’industria alimentare. La concia è un esempio fantastico di circolarità. Mangiamo la carne e utilizziamo la pelle che ne deriva per scaldarci i piedi. Chi dice il contrario mi deve spiegare questo: se non riutilizziamo il pellame, che ne facciamo? Lo buttiamo nei campi? Do per scontato che il processo di riutilizzo e concia sia fatto bene. Non dimentichiamo, tra le virtù della pelle, la durabilità che conferisce al prodotto finale, quando è di qualità. E chi fa le scarpe di qualità? Noi italiani.

Un ricordo personale legato alla pelle?
Dopo 13 anni che non entrava in azienda, ho invitato Sergio Rossi per fargli vedere l’archivio a lui intitolato. Tira fuori i pellami, li tocca e lo vedo percepire i ricordi riaffiorare. È come se nel pellame ci fosse tutta la sua storia, tutta la sua vita. Mi ricordo le sue mani, con i polpastrelli tornare indietro nel tempo. (mv)

L’intervista completa a Sciutto sul passaggio di Sergio Rossi a Fosun sarà su La Conceria n. 7: clicca qui per scoprire le formule di abbonamento

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