Certo non si può accusare New Balance di pregiudizio anti-Trump. Il marchio è l’unico dei big della sportiva, scrive CNN, a vantare ancora una forte presenza produttiva negli States: produce ogni anno 4 milioni di paia grazie ai 5 calzaturifici nel New England. Oltretutto, da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca New Balance si è spesso spesa in favore delle sue intenzioni bellicose. Ma la paventata escalation daziaria, che promette di investire direttamente anche la filiera della calzatura, ha fatto cambiare idea a quelli di NB: quando è troppo, è troppo. Il marchio ha indirizzato una lettera di lamentele all’US Trade Representative’s Office (l’agenzia governativa per il commercio estero), riporta CNN che ne anticipa i contenuti: “Nuove tariffe comprometterebbero il nostro equilibrio finanziario, mettendo a repentaglio i nostri investimenti produttivi”, recita la missiva. Il problema è che NB acquista componenti fabbricati in Cina, impossibili da approvvigionare negli USA: “I dazi non punirebbero tanto Pechino – conclude la lettera –, ma la nostra possibilità di mantenere in piedi il nostro equilibrio produttivo”.
La soluzione di Crocs
Crocs, intanto, passa alle contromisure. Il brand calzaturiero ha annunciato di star rivedendo la varietà di origini della propria supply chain per mettersi al riparo dalla possibile escalation della guerra commerciale tra USA e Cina. In particolar modo, Crocs sta diversificando gli acquisti per essere il meno dipendente possibile dalla Repubblica Popolare: se fino ad ora Pechino valeva il 30% delle forniture, già dal 2020 la sua quota scenderà al 10%. In questo modo, riporta il magazine Just Style, eventuali nuovi dazi al 25% sull’import cinese comporterebbero per Crocs appena “5 milioni di dollari di costi in più l’anno”.
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