I dipendenti dei porti di Los Angeles e Long Beach, primi per traffico mercantile negli Usa, sono in sciopero da martedì scorso. Gli 863 lavoratori chiedono il rinnovo del contratto scaduto a giugno. I due scali smistano il 31% delle calzature e dell’abbigliamento statunitense, un traffico da 40,3 miliardi di dollari all’anno. Nel 2002 uno sciopero analogo, durato dieci giorni, determinarono una perdita calcolata in un milione di dollari al giorno, mentre la funzionalità dei due porti fu ristabilita dopo sei mesi. Sandy Kennedy, presidente della National Retail Federation, sostiene che “il prolungamento dello sciopero potrebbe avere questa volta un impatto superiore considerando la situazione economica del paese”. I sindacati sostengono che la APM Terminal of the Port of Los Angeles prevede ulteriori 76 licenziamenti dopo quelli che negli ultimi cinque anni hanno dimezzato la forza lavoro. L’amminstrazione portuale viene anche accusata di ricorrere a dipendenti non iscritti al sindacato. Quest’ultima eccepisce invece di non prevedere alcun licenziamento e di garantire un salario di 52 settimane annuali anche nel caso di una diminuzione del lavoro di scarico. Le parti hanno richietso l’intervento attivo della Casa Bianca.
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