Tra l’Uganda e il Kenya esisterebbe un fiorente mercato nero di pellame. A sostenerlo è il quotidiano keniota People Daily che, attraverso un’inchiesta giornalistica, ha svelato un presunto traffico illegale gestito da contrabbandieri che da tempo commercerebbero materia prima conciaria tra i due Paesi africani. In particolare, le pelli provenienti dall’Uganda sarebbero trasportate di nascosto in Kenya, qui conciate e poi inviate, sia grezze che semilavorate, al porto di Mombasa per essere spedite ovunque, anche in questo caso in maniera illecita. Questi scambi avverrebbero senza alcuna comunicazione alle autorità competenti, al punto che secondo Kenya Revenue Authority (KRA), l’agenzia delle Entrate del Paese, ogni anno il Kenya perderebbe 18,7 milioni di dollari di tasse non pagate. Ma c’è di più. L’inchiesta giornalistica avrebbe portato alla luce dei contatti poco chiari tra i contrabbandieri e alcuni funzionari della stessa KRA, in particolare nelle amministrazioni di Busia, Malaba e altre città frontaliere. Ogni mese sotto i loro occhi poco attenti transiterebbero una settantina di container contenenti pellame, il cui trasporto non sarebbe stato dichiarato. Oltre che dall’Uganda, sostiene il quotidiano locale, la materia prima arriverebbe anche dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Burundi e dal Ruanda. Ai giornalisti kenioti l’amministratore delegato della Leather Development Authority, Isaac Noor, ha dichiarato che i suoi uffici non sono a conoscenza di questo presunto traffico illecito e che stanno avviando delle indagini. L’esistenza del commercio incontrollato è al contempo confermata dal presidente dell’associazione, Robert Njoka, il quale ha dichiarato al People Daily che “il problema è grave e ha causato una carenza di materia prima nelle concerie“, stimando che “nel complesso i governi degli Stati membri della Comunità dell’Africa orientale ci perdono più di 30 milioni di dollari all’anno di tasse non pagate”. Anche per questo, secondo Njoka, le concerie di Kenya e Tanzania si sarebbero trovate costrette a ridurre la produzione e licenziare i dipendenti. (art)
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