Guardare oltre la crisi. Puntare lo sguardo, come dice Mirko Balsemin (presidente della Sezione Concia di Confindustria Vicenza), alla fine del tunnel congiunturale in cui la concia italiana, insieme alla filiera della pelle, si è infilata. Un tunnel lungo, tortuoso e pericoloso che rischia di intaccare “il pieno potenziale” delle concerie, a cominciare da quelle venete. Va evitato, quindi, di fare la fine di Prometeo. Ecco perché.
Intervista a Mirko Balsemin
Secondo Laura Dalla Vecchia, presidente di Confindustria Vicenza, in base ai dati del primo trimestre 2024, “La recessione industriale è qui”. In che modo si traduce questa affermazione per l’industria conciaria vicentina?
Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito in Italia ad una riduzione a doppia cifra nella produzione di pellami che purtroppo prosegue anche nei primi quattro mesi dell’anno. Nonostante ciò, il nostro fatturato rappresenta ancora circa il 60% di quello nazionale. Tuttavia, si sta trasformando rapidamente il concetto di fare impresa, non solo per un nuovo rispetto dell’ambiente, ma soprattutto per il rapporto con la finanza sempre più intrecciato, complesso e preminente. Le tensioni geopolitiche internazionali non permettono previsioni positive a breve/medio termine bensì, come ci indica la Presidente Della Vecchia, operando opportune scelte strategiche si potrebbero prevedere interessanti margini per definire una nuova domanda di mercato”.
Il rapporto con Bruxelles
Dalla Vecchia accusa l’UE di essere “schiacciata, immobile e succube, quando non complice” della trasformazione degli equilibri geopolitici ed economici mondiali. Come commenta questa affermazione, alla luce anche delle normative di Bruxelles che incideranno sullo sviluppo della produzione conciaria?
Sottostiamo alle leggi europee non solo quando riceviamo i Recovery Fund, ma anche quando queste limitano la nostra libertà d’azione. Tuttavia, l’Europa in questi tempi vive momenti di grande confusione e impotenza che generano azioni imprevedibilmente disarmoniche e illogiche come il regolamento EUDR sulla deforestazione.
“Disarmoniche e illogiche”: perché
Condividiamo lo spirito ambientalista, ma è inaccettabile dar corso, con queste modalità, a norme di elevatissima complessità con tempi zero. Enunciazioni raffazzonate che ipocritamente parlano di salvaguardia del clima, ma spostano in altri Paesi ad alta deregulation ciò che di peggio l’industria conciaria europea ha superato da anni. Desideriamo una presenza politica a Bruxelles che legiferi norme identitarie proprio a partire dai nostri problemi e dalle nostre fragilità. In questa forma e con queste tempistiche il regolamento EUDR rischia solo di affossare il sistema conciario italiano e europeo.
Guardare oltre la crisi
Come si esce dalla crisi attuale, che lei stesso ha definito “un tunnel”?
Dobbiamo considerare il passaggio da una “logica di quantità” a una produzione di pellami ad “alto valore aggiunto”. Non è sufficiente ottemperare alle crescenti esigenze di responsabilità ambientale. Dobbiamo offrire prodotti di qualità superiore in grado di essere riconosciuti sui mercati con elevate marginalità sia per l’aspetto e le caratteristiche tecniche che per l’impiego di rivoluzionari prodotti chimici di nuova generazione a “impatto zero”. Questa è la direzione che dovrebbero prendere a mio parere le aziende italiane, auspicando costi ambientali sostenibili e considerevoli sostegni governativi alla nostra competitività territoriale.
Land Identity
In che modo la valorizzazione del rapporto con il territorio può diventare uno strumento di salvaguardia per il settore conciario vicentino, ma anche per gli altri distretti italiani?
Da un lato abbiamo estremo bisogno di una comunicazione che parli della pelle, dell’essenza della nostra industria. Non solo come produzione, ma come simbolo di un futuro sostenibile. Un impegno che vada oltre scopi promozionali e miri a informare, educare, coinvolgere l’opinione pubblica, dimostrando l’impegno e le pratiche eco-compatibili, di un’etica del lavoro rispettosa delle maestranze, dell’ambiente e delle nostre tradizioni. Dall’altro sentiamo la necessità di una presenza politica a Bruxelles che legiferi norme identitarie proprio a partire dai nostri problemi e dalle nostre fragilità.
Come si raggiungono questi scopi?
Al centro di questa ipotesi c’è la Land Identity. La sintesi fra realtà territoriali certificate e storiche eccellenze industriali viste in chiave di legame indissolubile fra prodotto e territorio, nel rispetto dell’ambiente e con il sostegno delle comunità locali. È necessario che le istituzioni – e parlo proprio del fondamentale apporto di UNIC – Concerie Italiane e Cotance, della Stazione Sperimentale e, in generale, delle associazioni di categoria -, insieme alla “politica tutta”, si facciano carico di questa idea e ne condividano l’anima, i significati e le prassi. Sono convinto che solo attraverso impegno ed azioni condivise sia possibile sbloccare il pieno potenziale dell’industria conciaria italiana altrimenti destinata, come Prometeo, a essere eternamente tribolata al fegato.
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