La materia prima abbonda, ma la concia è in crisi e non sa cosa farsene. È lo scenario odierno del Bangladesh, dove, secondo la stampa locale, per la festa islamica del Sacrificio (22 agosto) sono stati macellati 11 milioni di ovini, le cui pelli stentano a trovare un posto sul mercato. BTA, l’associazione di riferimento, spiega che “non c’è fretta”, l’allocazione della materia prima andrà avanti fino a novembre. Tra gli operatori della filiera, però, c’è tensione, perché i grossisti che hanno raccolto le pelli hanno difficoltà a piazzarle presso i grezzisti, anche a prezzi più bassi dai minimi fissati dal Governo (già di loro inferiori a quelli del 2017). La lentezza di mercato deriva dalle tensioni USA-Cina e dalle conseguenti ripercussioni sull’intera manifattura asiatica, spiega la stampa, e dagli ormai soliti problemi della concia bengalese: la mancanza di liquidità e il ritardo della rilocalizzazione del distretto conciario nel polo di Savar. I dati dell’export di settore pubblicati a fine agosto e relativi al mese di luglio (cioè il primo mese del nuovo anno fiscale) danno la misura del fenomeno: il fatturato estero della pelle finita è calato del 24,3% su base annua, un risultato che non conforta per niente le aspettative governative per un anno in crescita del 3,5%. Se non bastasse, dalla stampa si apprende che il vecchio sito di Hazaribagh soffre ancora di problemi di inquinamento: le imprese hanno trasformato le vecchie concerie in magazzini per le pelli grezze, abbandonandone poi in strada gli scarti e i ritagli come corna, orecchie e code. E meno male che il trasferimento del distretto a Savar doveva risollevare gli standard ambientali del Paese.
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