Per la pelle bangladese il momento, come si suol dire, è fatidico. Perché in una fase negativa di mercato la filiera si ritrova senza più neanche gli incentivi all’export. Il 30 gennaio la Banca Centrale ha comunicato il pacchetto di misure necessarie per adeguarsi al WTO, che classifica le defiscalizzazioni oltre un certo livello come una forma di sussidio pubblico. E quindi, in maniera per ora provvisoria, fino al 30 giugno la stessa Banca azzera gli incentivi per la vendita all’estero di crust (da che erano al 10%), mentre riduce quelli per le finite dal 10 al 7%. Secondo le associazioni che rappresentano l’industria l’iniziativa del governo, che non ha prima consultato gli stakeholder, è destabilizzante.
La filiera si ritrova senza neanche più gli incentivi
Per la filiera bangladese i nodi stanno arrivando al pettine. Dalla rassegna stampa si apprende che nell’ultimo anno fiscale l’export di pelle e prodotti in pelle del Paese è valso 1,22 miliardi di dollari, mentre il mercato domestico delle calzature è calato del 20%. Certo, il mercato globale non vive il suo momento migliore. Ma gli osservatori locali sono consapevoli che buona parte delle ragioni della crisi vanno ricercate nel fallimento di Savar. Il progetto del “nuovo” distretto è partito per salvare l’inquinatissimo fiume Buriganga, ma è in ritardo clamoroso sul piano di attuazione e ha solo spostato la bomba ambientale di qualche chilometro, “rendendo il fiume Dhaleswari la nuova vittima delle concerie”. A tal proposito, l’accusa alle imprese è l’incapacità di conformarsi agli standard internazionali di sicurezza ambientale, come abbiamo visto, e sociale. Perché mentre negli ultimi lustri il PIL del Paese cresceva, le condizioni dei lavoratori sono rimaste ferme al palo. È l’insieme di questi fattori che ha comportato la perdita dei mercati occidentali: “E così ora la pelle bangladese non parte più per l’Europa, ma va esportata a prezzi inferiori in Cina”.
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