Fonti di stampa locali definiscono quanto sta (ancora) accadendo in Cina, lungo l’asse che unisce i cluster conciari di Wuji e Xinji, così: “environmental crackdown”. Tradotto: “repressione ambientale”. È iniziata 3 anni fa, come ha di recente raccontato il presidente onorario di CLIA (China Leather Industry Association), Su Chaoying, è durata 30 mesi, ma è stata solo <la prima fase>. La seconda, che prevede controlli ambientali a tappeto, <porterà a ulteriori chiusure di concerie inquinanti>. Tante chiusure: <Il numero di concerie nella regione passerà dall’attuale 103 a circa 35, attraverso fusioni e acquisizioni>, dice CLIA. Conseguenza: la tensione in loco sta salendo. Fonti locali citate dal portale Sauer Rperto segnalano di trader di pellami che, non avendo più nulla tra le mani e in magazzino, <hanno deciso di cambiare attività>. Ma si sa anche di conciatori che, vedendosi bloccati i bottali dalla sera alla mattina, hanno inscenato presidi di protesta. Tentativi che, a qunanto pare, non starebbero portando ad alcun risultato. Il pugno di ferro di Pechino, per ora, Continua.
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