La necessità è quella di chiarire nel dettaglio alcuni aspetti del DPCM del 22 marzo 2020. Quello, cioè, che spiega come l’attività conciaria rientri tra quelle sospese in seguito all’emergenza Covid-19. Come spiega UNIC – Concerie Italiane in una comunicazione, “la conceria non è compresa tra i codici ATECO di cui all’allegato 1 del medesimo decreto. E neppure può essere considerata un’attività che eroghi servizi di pubblica utilità o essenziali”. Ecco i chiarimenti.
La premessa
I chiarimenti UNIC si rendono, dunque, necessari, poiché “si ha notizia che alcune concerieabbiano ripreso, comunque, parte della propria attività, previa comunicazione al Prefetto competente”. Comunicazione che rispetta “quanto stabilito nella lettera d) del citato DPCM del 22 marzo”. In altre parole, queste attività sono “ritenute “funzionali ad assicurare la continuità delle filiere” di attività essenziali o comunque autorizzate. “Nello specifico della filiera alimentare, comprendente la macellazione”. L’attività, dunque, riparte “solo allorché la conceria – precisa UNIC -, come espressamente indicato nel DPCM, comunichi “specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti o servizi attinenti alle attività consentite”. Cioè, “è necessario individuare la specifica impresa appartenente alla filiera ed autorizzata ad operare, cui si ritiene di essere funzionali, comunicando al Prefetto ogni preciso riferimento della stessa”.
L’attività
Il riferimento è al trattamento della materia prima dei macelli italiani. Un “sottoprodotto, solitamente fresco non salato, purché proveniente dall’entità comunicata” che può essere processato solo fino alla stabilizzazione in wet blue o wet white”. Il che chiama direttamente in causa il processo di depurazione. UNIC, infatti, “suggerisce alle concerie che abbiano ritenuto opportuno proseguire la propria attività esclusivamente sulla base dei requisiti predetti di coordinarsi prontamente con i depuratori di riferimento”. Questo perché “gli stessi possano programmare e organizzare gli adempimenti necessari a garantire il corretto funzionamento degli impianti”.
Dicono i depuratori
“Il Presidente Renzo Marcigaglia – commentano da Acque del Chiampo, depuratore di Arzignano – apprezza il lavoro fatto da UNIC e Confindustria, anticipato nei giorni scorsi ai gestori degli impianti di depurazione a servizio dell’attività conciaria. Acque del Chiampo da sempre è vicina al mondo della concia e costituisce la fase terminale di ogni azienda allacciata. Per garantire la funzionalità del trattamento biologico, abbiamo ora bisogno di avere le maggiori informazioni possibili dagli utenti riguardo la qualità e quantità delle acque reflue da scaricare, senza entrare nel merito della legittimità dell’esclusione dalla chiusura delle attività imposta dal governo. In questa fase di emergenza sarebbe più che mai auspicabile una unitarietà di comportamenti da parte del mondo conciario”. Dalla vicina Montebello, Giuseppe Castaman, presidente dell’impianto Medio Chiampo, spiega che “siamo un’azienda pubblica al servizio del territorio. Il nostro è un impianto che depura al 90% reflui industriali e oggi, da un volume di 13.000 metri cubi, gira a un regime ridotto di 3-4.000 metri cubi. Mantenendo il massimo rispetto delle esigenze sanitarie, il Decreto ci individua come attività non soggetta a chiusura. Siamo in grado di accogliere, quindi, carichi da parte di aziende che hanno tutte le carte in regola per poter riavviare la produzione. Essendo un depuratore biologico, ci serve un minimo preavviso per poter riattivare le linee e garantire la corretta organizzazione e gestione degli equilibri”.
Nella foto, a destra le vasche di Medio Chiampo, a sinistra quelle di Acque del Chiampo
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