Un altro anno, il 2024, di sofferenza. Un orizzonte, quello del 2025, che per l’industria conciaria italiana ha la forma enigmatica di un punto di domanda. I dati elaborati dal Servizio Economico UNIC – Concerie Italiane, del resto, non lasciano spazio a dubbi. “Le attuali stime relative ai primi tre trimestri del 2024 – si legge in una nota – mostrano complessivamente un calo dell’8,5% nei volumi di produzione e del 4,1% in termini di fatturato rispetto al 2023”. Un momento “oltremodo negativo” se, poi, il confronto viene fatto sul 2022. In altre parole, “l’ultimo anno chiuso in positivo: negli ultimi 24 mesi, infatti, il settore ha perso il 17,2% di produzione ed il 10,3% di fatturato”.
Il 2025 è un punto di domanda
“Per quanto riguarda il 2025 – commenta UNIC -, appare complicato, ora più che mai, fare previsioni di robusta affidabilità”. Si naviga – male – a vista. “Mancano elementi concreti che possano far pensare a un cambio di rotta nei consumi e, conseguentemente, nelle dinamiche di produzione dei beni in pelle nei prossimi mesi. La fiducia dei consumatori è bassa e le purtroppo crescenti problematiche politiche e commerciali internazionali non portano certo grande positività in tal senso. In questo contesto, saranno probabilmente fondamentali i primi mesi della nuova presidenza americana”. Preoccupa l’Europa, “dove la perdurante incertezza politica si accompagna alla confusione creata da ambientalismi spesso demagogici e inutilmente radicali”. Il 2025 resta, dunque, un punto di domanda per la concia italiana? Forse, perché “alcuni importanti analisti prevedono un 2025 in leggera crescita per la fascia alta della moda”. Ne deriva, sottolinea UNIC che “nel concreto le nostre speranze di ripresa risiedono soprattutto nella seconda parte dell’anno, che nel complesso contiamo comunque di chiudere con segno lievemente positivo”.
L’export di pelli finite
Per quanto riguarda le esportazioni, l’ultimo dato disponibile riguarda il periodo gennaio-agosto 2024 ed è inevitabilmente negativo. “I flussi italiani di export di pelli finite evidenziano anch’essi un calo complessivo, con un ribasso del 2,7% in euro e del 5% in metri quadri. Nonostante il segno negativo delle esportazioni totali, l’analisi dei principali Paesi di destinazione mostra andamenti differenziati, anche di notevole intensità”. Per esempio, spiega UNIC, “in valore crescono Francia (+3%, primo mercato estero delle pelli italiane), Spagna (+20%), Cina (+4%, inclusa Hong Kong), Vietnam (+23%), Germania (+5%) e Corea del Sud (+7%).
Tipologie e CIG
“In termini di produzione per origine animale, le pelli bovine mostrano variazioni mediamente meno negative rispetto alle ovicaprine”, continua UNIC. Per quanto riguarda, invece, le destinazioni d’uso non ce n’è una che sorrida: “Le difficoltà appaiono diffuse a tutti i tipi di clientela”. A tal proposito, “è molto significativo il dato relativo al ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni, per cui purtroppo non vi è una rilevazione specifica per il settore conciario, ma solo l’aggregato relativo alla filiera della pelle”. Cioè: concia, calzatura e pelletteria. Ebbene, “nei primi 9 mesi dell’anno, il ricorso complessivo alla CIG (ordinaria e straordinaria) è aumentato del 140% rispetto al medesimo periodo del 2023 e del 154% sul corrispettivo 2022”.
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