“Una leadership che ha resistito allo tsunami di una pandemia che ha generato una profonda sofferenza in tutta la filiera della pelle”. UNIC – Concerie Italiane condivide i dati di settore relativi al primo semestre 2021, confermando l’inversione dell’inerzia congiunturale rispetto al 2020. Spiegando che, rispetto alla prima metà del 2019, quando ancora si viveva in un mondo pre Covid, “il trend di recupero non è stato ancora completato ed è in corso”. E manifestando una viva preoccupazione per i generalizzati e “pesanti” rincari delle materie prime.
Quasi un miliardo in meno
L’analisi UNIC prende le mosse dal 2020, anno in cui “è stato bruciato quasi un miliardo di euro sia in termini di produzione che di export”. Infatti, “il valore della produzione conciaria italiana nell’annata passata è stato di 3,5 miliardi di euro, in calo del 23% sul 2019. Le esportazioni hanno chiuso a 2,5% miliardi di euro, arretrando del 25%”. Inevitabile, vien da dire, visti i “ripetuti lockdown (anche produttivi, ndr), la scarsa mobilità internazionale e la conseguente flessione generalizzata dei consumi che ha colpito la clientela”.
Il primo semestre 2021
La prima metà del 2021, “come atteso, ha invertito l’inerzia congiunturale – continua UNIC -. I volumi di produzione sono cresciuti del 20,7% su base annua, il fatturato settoriale del 25,3% e l’export (che vale il 75% della produzione) del 28%”. Il vero riscontro (“più essenziale e significativo” scrive UNIC) è, però, con i “dati precedenti alla pandemia e relativi al primo semestre 2019”. Ecco, allora, che “nella prima metà del 2021, rispetto a due anni fa, la pelle italiana mostra il -10,4% in volume e il -15,5% in fatturato, con esportazioni al -16,4%. Il settore appare quindi sulla buona strada per recuperare i livelli pre-Covid19 in tempi non eccessivamente lunghi”.
L’export
Quel che manca è “ancora una tendenza positiva forte e in grado di coinvolgere tutti i segmenti e i distretti di produzione. Questa assoluta impossibilità di generalizzare i trend in corso si riflette, per esempio, anche sulle performance dei Paesi di destinazione delle pelli italiane”. Per esempio: “Le esportazioni verso la Cina (inclusa Hong Kong) crescono del 39% sul 2020, ma restano lontane dai valori del 2019: -25%. Situazione simile per i flussi destinati ai principali partner europei”. Nell’ordine: “Francia (+21% sul 2020, -21% sul 2019), Germania (rispettivamente +19% e -16%), Spagna (+17%, -35%), Portogallo (+18%, -8%), Polonia (+25%, -12%), Romania (+30%, -18%), Serbia (+41%, -10%), Regno Unito (+28%, -26%)”. Esistono, per fortuna, “eccezioni positive, come il Vietnam che cresce del 68% sul 2020, ma anche del 16% rispetto al 2019”. Ma anche “gli USA (+41% sul 2020 e +3% sul 2019) e l’emergente Messico (flussi raddoppiati rispetto all’anno scorso e +42% su due anni fa)”.
Tipologie e destinazioni
L’assoluta impossibilità di generalizzare affligge anche le destinazioni manifatturiere della pelle italiana. Per esempio, “crescono le vendite di pelli per arredamento”. Mentre “il recupero è, invece, solo parziale per pelletteria e, soprattutto, automotive. La calzatura, seppur in rialzo sul 2020, rimane quella più in difficoltà. Per quanto riguarda la tipologia di pelli, la ripresa appare generalmente più consistente per le pelli bovine, soprattutto medio-grandi, e per le ovine. Persistenti cali per le capre”.
Allarme prezzi materie prime
“Sopra questa situazione di faticoso, ma strenuo recupero – conclude UNIC – incombe, però, una pericolosissima spada di Damocle”. In altre parole: “Quella dei prezzi delle materie prime, cresciute in media del 25% da gennaio a giugno 2021 e nientemeno che del 45% rispetto al 2020, con punte anche superiori al 65% per alcune tipologie di pelle grezza”. Non solo. Questo “fenomeno di crescita incontrollata coinvolge in modo sostanziale anche la fornitura di ausiliari chimici”. Il rischio, dunque, è grosso. “Questa tendenza al rialzo, non accompagnandosi a una ripresa diffusa e convinta di domanda e consumo, potrebbe inibire in maniera pesante il ritmo e l’intensità del recupero, con conseguenze anche molto gravi sul piano della sostenibilità finanziaria del settore”.
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