Ma perché diavolo l’Unione Europea continua a concedere accesso ultra-privilegiato al proprio mercato a una filiera, quella pachistana, che pratica concorrenza sleale e non rispetta le convenzioni internazionali? Se lo chiede Cotance, la rappresentanza comunitaria delle associazioni nazionali della concia, con un intervento del segretario generale Gustavo Gonzalez-Quijano su EP Today, la newsmagazine dell’EuroParlamento. Islamabad gode dal 2014 dello status GSP+, sistema di esenzioni teso a favorire lo sviluppo di partner privilegiati. Per ottenerlo, il Pakistan si è impegnato a sviluppare buone pratiche di governance e per la sostenibilità sociale e ambientale. Impegno cui, appunta Cotance, non è mai stato dato seguito pratico. Un dossier della stessa Commissione Europea (datato gennaio 2018) solleva gravi rilievi sulla manifattura pakistana, dove si riscontrano il ricorso, per fare qualche esempio, al lavoro minorile e al lavoro in condizioni di schiavitù. Islamabad non rispetta le convenzioni ILO (Organizzazione Internazionale per il Lavoro), né si adegua agli standard WTO sul commercio internazionale, imponendo dazi ad valorem del 20% sull’export della materia prima conciaria e del semilavorato. Qual è il risultato? Che da quando gode dello status GSP+, le esportazioni dell’area pelle pakistana verso i Paesi EU “sono aumentate del 21%”, scrive Gonzalez-Quijano. Gli stati comunitari, che si vedono un ingombrante concorrente in casa, non ci hanno guadagnato niente, invece. L’affare è stretto tra due parti, insomma, ma conviene a una soltanto.
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