Cotance torna alla carica per chiedere quota zero per la pelle

Cotance torna alla carica per chiedere all’UE la quota zero

Appena insediato nel ruolo di presidente dell’associazione europea della concia, Manuel Ríos Navarro (Inpelsa) aveva annunciato da queste colonne che il tema del carbon footprint sarebbe stato centrale nel suo biennio. E ora Cotance torna alla carica per chiedere che alla pelle sia riconosciuta la quota zero. La concia riutilizza un sottoprodotto della zootecnia che altrimenti andrebbe in discarica, ribadisce la sigla. Non è quindi corretto che le affibbino parte dell’impatto degli allevamenti. Questo, oltretutto, si rivela uno svantaggio nella competizione commerciale, ad esempio, con i prodotti sintetici.

 

 

Cotance torna alla carica

Il problema, osserva Cotance in una nota, è che sulla quota di carbon footprint da assegnare alla pelle ci sono due fazioni. La prima è quella di chi, come i macelli, ritiene che l’impatto del capo animale vada distribuito non solo su carne e latte, ma anche sui sottoprodotti. Dall’altro c’è la concia, che non si ritiene “corresponsabile” delle emissioni necessarie all’allevamento del bestiame. D’altronde, rivendica Cotance, le crisi del 2008 e del 2020 dimostrano che non c’è un nesso indissolubile tra carne e concia. Le pelli grezze, quando la domanda di pelli finite langue, rimangono al di fuori del ciclo dei bottali, riducendosi a un rifiuto.

L’impatto ambientale in assenza della concia

“Se le pelli che si producono su scala globale fossero smaltite in discarica, anziché conciate, la loro decomposizione creerebbe una significativa quantità di CO2 aggiuntiva, pari a circa 5 milioni di tonnellate di gas nocivi per il clima – rivendica Cotance –. Secondo il calcolatore delle equivalenze delle emissioni di EPA (l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti, ndr), ciò corrisponde alle emissioni medie annuali di oltre 1 milione di automobili”.

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