La pelle italiana ha solide basi e spiccata capacità di resilienza, rivendicano da UNIC – Concerie Italiane. Ma l’emergenza costi, scatenata già dalla pandemia ed esacerbata dalle conseguenze del conflitto in Ucraina, ha reso la situazione insostenibile. I vertici dell’associazione, aderente a Confindustria Moda, durante il consiglio generale dello scorso 31 agosto esprimevano l’allarme per una congiuntura tale da mettere a repentaglio il tessuto produttivo. Ora che l’Ufficio Studi di UNIC ha calcolato che il costo complessivo di produzione di una pelle finita in Italia rispetto a un anno fa è aumentato mediamente almeno del 12,1% a metro quadro (al netto delle fluttuazioni di prezzo della materia prima), il quadro si delinea in tutta la sua gravità. “Vediamo vanificati i nostri sforzi per superare il periodo dell’emergenza sanitaria – è il commento affidato a una nota da Fabrizio Nuti, presidente di UNIC –. Oggi sono realmente a rischio la competitività e la sopravvivenza stessa di molte fra le 1.100 aziende del comparto”.
L’impatto dell’emergenza costi
L’Ufficio Studi di UNIC ha calcolato, dicevamo, l’impatto della stagione inflazionistica sul costo complessivo di produzione di un metro quadro di pelle finita in Italia. E il +12,1%, precisano, non tiene conto delle fluttuazioni dei prezzi d’acquisto della pelle grezza o semilavorata. Rispetto al 2021 fanno la differenza “i fortissimi rialzi della spesa unitaria per l’energia (+360% per gas e elettricità)”, recita il comunicato stampa. Ma hanno avuto un importante impatto gli aumenti di costo anche di altre voci, come la “depurazione acque (+42%), i prodotti chimici (+31%) la e lavorazione conto terzi (+24%)”. Se le attuali tendenze di costo degli stessi fattori “dovessero continuare anche nelle prossime settimane – ammoniscono dall’Ufficio Studi di UNIC –, prevediamo un ulteriore incremento medio totale pari al 5,5% tra 3 mesi, a fine anno”.
Risposta di sistema
“A fine giugno – è il messaggio di Nuti – chiedevo una solidarietà di filiera, che permettesse alle concerie di adeguare i propri listini al boom inflazionistico. Si trattava e si tratta di una reale necessità. Non è più possibile per le aziende sostenere aumenti che non riguardano solo gli extra costi delle materie energetiche, ormai del tutto fuori controllo e con dinamiche tali da rendere quasi impossibile fare bilanci e strategie future, ma quasi tutti i principali costi di gestione di una conceria”. In gioco c’è la tenuta di un sistema imprenditoriale che fa dell’eccellenza e della sostenibilità i propri tratti distintivi. E sul quale fanno affidamento 18.000 addetti, cioè 18.000 famiglie. Per questo UNIC, alla vigilia di Lineapelle 100, invoca “una forte presa di coscienza e uno sforzo congiunto da parte di tutti, imprese e istituzioni”.
Foto dal nostro archivio
Leggi anche:
- Aziende in crisi per il costo del gas: “Intervengano governo e UE”
- L’allarme di UNIC sui prezzi: serve solidarietà di filiera
- Il mercato polarizzato pone le concerie davanti a un bivio