Già dal titolo, il pezzo pubblicato ieri (domenica 5 luglio 2020) dal quotidiano Il Foglio, evoca una sensazione positiva. Eccolo: “Guerra del cuoio. Ovvero: l’economia circolare senza retorica”. La firma è di Fabiana Giacomotti e il tema è proprio quello che la titolazione promette. Una forte sottolineatura del risultato normativo raggiunto da UNIC – Concerie Italiane. In altre parole: l’approvazione del Decreto Legislativo 68 (9 giugno 2020) e la prossima messa al bando di tutta la terminologia fuorviante utilizzata per promuovere materiali cosiddetti “alternativi”. Una sottolineatura che il pezzo approfondisce portando ad esempio l’esperienza del Consorzio Cuoio di Toscana.
Una bella crasi
“Dire che la battaglia dell’ecopelle alla Camera è stata lunga e cruenta suona grottesco”. Comincia così un pezzo che mette subito in chiaro come “ecopelle” sia una bella crasi”. Cioè, “un derivato semantico che evoca mondi bucolici, sensibilità per gli animali e belle signore in pashmina (ah, non è sostenibile?) oltre alla mai dimenticata Greta Thunberg, si intende”. Invece: “è plastica nei casi peggiori che sono poi quelli più diffusi, un derivato da spore o da coltura bio nei casi migliori (…). Gli imprenditori italiani riuniti in UNIC sono riusciti qualche settimana fa a bandirne la dicitura. La battaglia in sede comunitaria e nel cuore dei consumatori europei si preannuncia più dura, ma un primo paletto è stato piantato”. Anche perché è arrivata l’ora, come spiega poi Antonio Quirici (presidente Cuoio di Toscana, che ha lanciato la nuova campagna “Step into our world”) di dire le cose come stanno: “Sostenibilità è anche chiamare le cose con il loro nome”.
Mettere le cose in chiaro
“Se dovessi immaginare un’applicazione del concetto di economia circolare non potrei che pensare a noi”, continua Quirici su Il Foglio. Un concetto che, come scrive il quotidiano, potrebbe “smontare le battaglie vegan e animaliste contro le scarpe e le borse in pelle e cuoio con i loro stessi argomenti”. Perchè “le suole (come le tomaie, le borse e tutto quanto è in pelle, ndr) utilizzano scarti dell’industria alimentare che vengono riportati a nuova vita”. E, come chiosa Quirici, “nessun animale viene ucciso al solo scopo di utilizzarne la pelle”.
Economia circolare senza retorica
Il Foglio prosegue poi elencando tutta la dinamica circolare della produzione. Dal riutilizzo dei suoi scarti alla gestione della depurazione delle acque. E arriva a celebrare la scoperta che “la concia lenta al vegetale non ha nemmeno un odore sgradevole”. Qua, va detto, il pezzo scivola parzialmente, entrando in una poca chiara dissertazione sulla “concia veloce che utilizza prodotti chimici” e “materia prima di cattiva qualità”. Elementi caratterizzanti della “roba importata dall’India, dalla Cina, spacciata come prodotto locale”. Dimentica, quindi, che l’industria conciaria italiana, nella sua quota maggioritaria, rappresenta un’eccellenza proprio perché (utilizzando le migliori materia prime…) ha saputo raggiungere un equilibrio ottimale tra produzione industriale e impatto ambientale. Un equilibrio, detto anche in questo caso senza retorica, in costante fase di ottimizzazione e miglioramento.
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