“Ho la nota di carico di una nave, una copia di una nota di carico di una nave del 1790 in cui si parla di pelli sbarcate a Boston, simili a quelle che abbiamo fatto arrivare qui fino all’anno scorso. E dagli stessi porti africani”. E ancora: “Nelle famiglie dei guantai questi discorsi erano una tradizione che risaliva a secoli prima: il padre passava al figlio i segreti del mestiere (…) Era vero per le concerie, dove conciare è come cucinare e le ricette si tramandano di padre in figlio, ed è vero per le fabbriche di guanti e per la sala taglio. I vecchi tagliatori italiani addestravano i loro figli e nessun altro, e quei figli prendevano lezioni dai loro padri come lui aveva preso lezioni dal suo”. Il protagonista di queste citazioni è Seymour Levov, lo Svedese, l’uomo attorno a cui ruota il meccanismo di uno dei più importanti romanzi del ‘900: Pastorale Americana. L’autore, lo straordinario romanziere Philip Roth è scomparso martedì scorso (22 maggio) all’età di 85 lasciando una ricchissima bibliografia e un libro, Pastorale Americana appunto, che nel 1998 vinse il Premio Pulitzer per la narrativa e che racconta la storia di un uomo che cresce negli anni ’50 a Newark, all’ombra del padre che possiede una fabbrica di guanti. Altissima letteratura che descrive il percorso dello Svedese nell’ereditare l’attività paterna e, attraverso i suoi occhi e il suo lavoro, costruisce un’allegoria politica dell’America di quegli anni. Con la pelle che, per gran parte del libro, resta sullo sfondo per prendere di colpo il possesso dei dialoghi e delle descrizioni. Un libro da leggere e, nel caso, da rileggere.
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