La pelle vuole fare da sé. Ma il processo non sarà né facile né breve. Nei mesi scorsi il primo ministro Narendra Modi ha indicato la filiera della pelle come una di quelle strategiche per il futuro del Paese. E per questo il governo sta lavorando per adottare delle misure che consentano di ridurre le importazioni, soprattutto dalla Cina, di prodotti finiti. Tuttavia i problemi non sono pochi, a partire dalla questione ambientale. Nelle scorse ore l’amministrazione distrettuale di Kanpur ha ordinato a un gruppo di concerie di sospendere l’attività per 15 giorni a causa dell’eccessivo inquinamento che starebbero producendo.
La pelle vuole fare da sé
Secondo le associazioni di categoria, oggi una quota tra il 30 e il 40% dei prodotti in pelle acquistati in India sono importati dalla Cina. In buona parte sono calzature. I principali rappresentanti del settore hanno indicato come priorità per sviluppare il consumo interno la ricostruzione di un’immagine forte del settore, la creazione di cluster, lo sviluppo di nuove infrastrutture e nuovi strumenti tecnologici. A proposito di pulsioni protezionistiche, Rafeeque M Ahmed, presidente di All India Hides and Skins Tanners and Merchants Association, ha inoltre spiegato a business-standard.com che l’aumento dei dazi sulle importazioni di tali prodotti non basterà a ridurne il commercio. Per Ahmed bisognerebbe creare “un ecosistema come quello cinese”, vale a dire con prezzi competitivi e una maggior varietà di prodotti.
L’inquinamento
Intanto l’amministrazione distrettuale di Kanpur ha imposto un nuovo stop. L’ordine riguarda 138 concerie del distretto di Jajmau, che avrebbero scaricato nel Gange più effluenti rispetto a quanto consentito. Per la presunta violazione dovranno sospendere la produzione per 15 giorni. Asad Iraqi, segretario generale di Leather Industries Welfare Association, ha replicato dalle pagine di timesofindia.com che i funzionari avrebbero fornito dati errati alle autorità. (art)
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