La concia indiana fa i conti con il conflitto religioso che innerva il Paese. Il governo locale dell’Uttar Pradesh e quello nazionale del premier Narendra Modi hanno sempre spiegato le chiusure forzate e ripetute delle concerie di Kanpur con motivi ambientali. Molti imprenditori del settore, però, denunciano non essere solo questo. Entrambi i governi sono a guida BJP, partito nazionalista induista. L’obiettivo sarebbe quello di danneggiare, a Kanpur come negli altri distretti, i musulmani, proprietari della maggior parte delle concerie. Tuttavia, denunciano gli operatori della pelle, nel settore lavorano e investono moltissimi indiani che professano altre fedi o sono appartenenti a minoranze, come i dalit, i famosi “intoccabili”.
Il conflitto religioso
In India gli ordini esecutivi contro le concerie si susseguono a ritmo serrato. La maggior parte arrivano in concomitanza di eventi religiosi induisti che prevedono lo spostamento di grandi folle verso i corsi d’acqua, il Gange e i suoi affluenti in primis. La prima scossa in questo senso è arrivata nel 2018, quando l’organismo deputato al controllo ambientale dell’Uttar Pradesh, l’UPPCB, ha ordinato la chiusura di tutte le concerie dello stato per 3 mesi. Lo stop, con varie proroghe, è durato 14 mesi. Poco dopo la riapertura, un nuovo stop per 248 aziende è arrivato “senza un motivo preciso“, denunciano gli imprenditori di settore a thewire.in. Secondo gli stessi, in realtà, dietro queste chiusure forzate e la compromissione di un intero settore, vi sarebbe un attacco ai musulmani. I quali devono inoltre affrontare i rincari delle imposte sia sull’export che sull’import di alcuni prodotti utili alla concia.
Le accuse
“Il governo ci ritiene gli unici responsabili dell’inquinamento dei fiumi. Ma non esiste ancora un impianto di trattamento delle acque reflue dedicato all’industria. L’attuale linea fognaria è per lo più allagata, poiché gestisce sia i rifiuti industriali che quelli cittadini” spiega a thewire.in il proprietario di una conceria. La maggior parte delle concerie è in mano a imprenditori musulmani, i quali, nel corso degli anni, hanno chiesto più volte agli enti pubblici il potenziamento delle infrastrutture per la gestione degli scarichi. “Tuttavia, i governi successivi si sono a stento mossi – conclude l’imprenditore -. L’attuale governo BJP credo non si sia nemmeno posto il problema di come sostenere l’industria della pelle”.
Ricadute trasversali
Queste chiusure, in alcuni casi accompagnate da sanzioni, stanno mettendo in ginocchio il settore e i titolari delle imprese. Al loro interno, però, trovano impiego tantissime persone che altrimenti non avrebbero un reddito. Sono i soggetti che subiscono emarginazione, minoranze come i dalit, che gli altri indiani guardano con disprezzo. “La maggior parte dei lavoratori aveva un reddito fisso fino a tre anni fa. Dopo che le concerie hanno smesso di lavorare per mezzo mese, ora dipendono dal salario giornaliero – conclude un imprenditore conciario con la stessa testata locale -. Tuttavia, dal momento che le entrate sono scarse, gran parte di loro ha abbandonato l’Uttar Pradesh per migrare a Manesar (nello stato dell’Haryana, ndr), che è anche un centro dell’industria della pelle”. (art)
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