Cancelli chiusi e impianti fermi per 78 delle 106 concerie che sorgono tra Unnao e Banthar, cittadine dello Stato indiano dell’Uttar Pradesh. A stabilirlo sono stati i giudici del National Green Tribunal (NGT). Secondo quanto riporta la stampa locale, NGT ha assunto la decisione dopo le relazioni di alcuni funzionari del Central Pollution Control Board (CPCB) che tra il 20 e il 24 maggio hanno eseguito dei sopralluoghi nelle concerie prelevando dei campioni dagli scarichi. Le verifiche condotte sui liquidi prelevati avrebbero evidenziato la presenza di cromo superiore ai limiti consentiti dalla legge, nello specifico di oltre 2 milligrammi per litro. Una nuova tegola per un distretto piegato da 6 mesi di stop imposti dal governo, che proprio nei giorni scorsi è stato rinnovato. Gli indiani chiamati alle urne hanno riconfermato alla guida del Paese l’Indian People’s Party (BJP), il partito radicale induista, e rinnovato il mandato al suo leader Narendra Modi. La notizia ha allarmato ulteriormente i conciatori dell’Uttar Pradesh in quanto, mentre le imprese della regione di Kanpur sono state colpite dall’ordine di sospensione dei lavori, quelle delle città di Unnao e Banthar, che sorgono sulla sponda opposta del fiume sacro, erano state autorizzate a continuare la produzione. Fino ad ora per lo meno. Secondo i conciatori lo stop alle loro attività non sarebbe collegato a un perdurante stato di inquinamento del fiume Gange, ma alla volontà dei rappresentanti politici del mondo induista di danneggiare la filiera della carne e della pelle per mettere in ginocchio i Dalit, la casta più umile, e i musulmani che sono i primi a lavorarci. “Tutte le concerie del Kanpur sono in difficoltà finanziarie perché la chiusura dura ormai da sei mesi – spiega dalle pagine di Times of India il presidente della Leather Industry Association, Taj Alam -. Centinaia di migliaia di lavoratori lungo la catena di fornitura hanno perso il lavoro e il settore sta subendo un forte impatto anche perché non è possibile ottenere la pelle finita”. Il timore dei conciatori è che le loro attività non saranno mai più riaperte.
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