La coop della pelle che in meno di trent’anni è cresciuta fino a dare nerbo all’economia di Ribeira. Vale a dire il piccolo comune nello stato di Paraíba, una delle zone più depresse del Brasile dove l’espressione “piena occupazione” è un miraggio. È una storia da far leggere ai detrattori della pelle quella di Arteza, fondata da un parroco olandese nel 1998 e arrivata a essere una struttura industriale che copre l’intera filiera, dalla concia della materia prima fino alla realizzazione degli accessori.
La coop della pelle
Tra i 1.700 residenti di Ribeira, si legge nel reportage di IPS, uno su cinque è coinvolto direttamente o indirettamente nelle attività di Arteza. E questo ha consentito alla cittadina non solo di evitare i fenomeni di spopolamento che riguardano gli altri comuni della regione, ma anche di crescere sul piano urbanistico: ora, ad esempio, ci sono una stazione di rifornimento e una farmacia. Tutto grazie allo sviluppo delle attività della coop, la cui conceria è partita con una capacità produttiva di 800 pelli al mese ed è arrivata alle 20.000 attuali. Momento di svolta, raccontano i promotori, è stata l’installazione nel 2018 dell’impianto fotovoltaico, che cha consentito un risparmio nella spesa energetica (passata da 10.000 a 600 reais al mese) reinvestito nell’acquisto di macchinari.
Spinta fashion
Arteza è partita dalla realizzazione di articoli della tradizione artigianale locale. Alcuni dei cooperanti continuano a produrne, ma molti hanno assecondato la domanda fashion per conquistare mercato. Ora le calzature (in primis i sandali) rappresentano il 60% delle vendite, mentre è significativa la quota di borse e zaini (segmento dove i prezzi più alti toccano i 150 dollari). Arteza distribuisce i propri prodotti nello store di Ribeira e in negozi in tutto il Brasile. Nel 2021, dopo lo choc della pandemia e del lockdown, ha introdotto il canale digitale e aperto gli account social: l’e-commerce è arrivato a valere il 35% degli incassi.
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