C’è “un mercato globale che resta insidioso”. C’è un lusso che rallenta e una filiera di fornitura che fatica (a dir poco). E c’è “la conferma delle qualità che rendono la conceria italiana anello insostituibile della fashion industry”. In un messaggio di fine anno, Fabrizio Nuti (nella foto), presidente di UNIC – Concerie Italiane, disegna il profilo delle sfide della pelle italiana.
Il messaggio di fine anno della concia italiana
“Questioni geopolitiche internazionali e nuove tendenze al consumo – dice Nuti -, passando per l’aumento dei costi energetici e la necessità di tutelare in modo specifico le esigenze del settore. Sono diverse le incognite che hanno investito l’industria conciaria determinando inevitabilmente una minore brillantezza di alcune performance nell’anno che si sta per concludere. Ma è proprio in tale contesto che il valore dei risultati ottenuti dalle nostre aziende si può considerare ancora maggiore”.
Nuove opportunità
“L’intero sistema economico nel quale ci muoviamo – prosegue il presidente UNIC – è stato messo alla prova quest’anno dagli strascichi del conflitto in Ucraina, dopo aver fronteggiato le nuove tendenze al consumo determinate dalla pandemia. Tra i mercati storicamente forti per l’export della concia italiana, abbiamo registrato un calo in Cina, Hong Kong e America, ma non sono mancate conferme. Non si è mai interrotto il dialogo delle nostre aziende con il segmento del lusso, che ci auspichiamo possa ritornare a crescere in modo significativo. Del resto, i primi dati che emergono in vista della prossima edizione di Lineapelle (20/22 febbraio 2024) testimoniano la vitalità complessiva del comparto.
Le istanze del comparto
“La concia italiana – dice Nuti – ha maturato una solida esperienza in tema di sostenibilità ambientale attraverso un percorso avviato già 50 anni fa. E si è mantenuta proprio grazie a questo impegno, organizzandosi in distretti che hanno agevolato una reale sostenibilità che nel comparto non ha uguali al mondo. Sarebbe importante che le istituzioni premiassero questo approccio della concia italiana, anche attraverso un dialogo che veda recepite le nostre istanze”. Il riferimento è, anche, al regolamento UE 115/2023 in tema di deforestazione, che entrerà in vigore nel 2025 e prevede la tracciabilità del pellame a partire dall’allevamento. Questo potrebbe determinare conseguenze pesanti per l’Italia, che importa circa il 95% della materia prima. Poiché, come spiega Nuti, “questa tracciabilità ha dei costi di cui allevatori e macellatori difficilmente vorranno farsi carico. Per cui è immaginabile che venderanno le pelli ad altri Paesi, dove saranno lavorate per poi rientrare comunque in Europa”.
La concia tra formazione e cultura
Ecco, allora, che “fare rete e mantenere costante il dialogo tra i diversi attori del sistema della moda – conclude Nuti – può rendere tutti più forti e consapevoli. Per esempio, pensiamo al tema della formazione di nuove risorse da impiegare non solo nel conciario, ma nell’intero ambito manifatturiero, che oggi lamenta la difficoltà di trovare figure tecniche per il settore. Anche questa è una sfida in cui UNIC continua a investire. Dal coinvolgimento di giovani studenti degli istituti medi inferiori alle collaborazioni con scuole internazionali di moda passando per la ricerca condivisa con l’Università. Sosteniamo diversi strumenti finalizzati a una sensibilizzazione trasversale sulle opportunità di studio e lavoro connesse al conciario. Vogliamo continuare a coinvolgere le diverse sensibilità di una platea sempre più vasta non di soli operatori del comparto in un percorso di comunicazione”. Obiettivo: “Evidenziare tutte quelle caratteristiche della concia italiana che la rendono una reale eccellenza del sistema industriale del made in Italy. Una comunicazione i cui effetti potranno tradursi in vantaggi diffusi che premiano l’impegno del nostro comparto”.
Leggi anche: