“Le pelli animali, se non trattate, si induriscono rapidamente, oppure marciscono. Insetti e batteri vi si insinuano e le danneggiano. Un’antica tecnologia umana, cioè la concia, impedisce la conseguenza naturale della morte, che è la putrefazione”. In questo senso, allora, “la vera storia della pelle è la storia della concia”. Quello di UTNE Reader, newsmagazine che (stando al suo claim) si propone come “Cura contro l’Ignoranza”, è a metà strada tra il reportage e lo spiegone. Reportage perché l’articolo muove le prime mosse da una visita presso Nugget Company, conceria di pelli ovicaprine con sede a San Antonio (Texas). Spiegone, come nello slang del web si definiscono gli articoli che offrono riepiloghi di questioni complesse e articolate, perché UTNE si trova a chiarire questioni che per gli addetti ai lavori sono ovvie, ma per il grande pubblico no.
Cos’è la pelle
“Quando la gente mi chiede cosa faccio per vivere, devo valutare il loro grado di preparazione – confida Colin Wheeler, titolare di Nugget Company –. La maggior parte delle persone non ha idea di che cosa sia una conceria. Così, taglio corto e dico che sono nel business della pelle”. Già, perché la prima ovvietà che UTNE deve ribadire è che la concia è un mestiere antico quanto l’uomo e che ha attraversato, con tecniche diverse, la storia dell’umanità: “Le civiltà hanno usato quercia, faggio, sommacco e castagno, oltre a fumo, ammoniaca, escrementi di piccione, grano e sale – si legge nell’articolo –, cioè qualsiasi cosa che promette di fondersi biochimicamente con le fibre del derma per ammorbidirle e stabilizzarle”. Prodotti in pelle sono stati trovati nelle tombe dei faraoni, mentre nell’antica Pompei (come ben sappiamo) c’era una conceria, ricorda UTNE: “La tribù di indiani d’America dei Piedi Neri sarebbero chiamati così per le fumigazioni usate per conciare la pelle di cervo dei loro mocassini”, cita ancora il magazine.
Dov’è finita la concia USA
La testata sembra fare un collegamento logico: se gli statunitensi di concia ne sanno poco dipende anche dal fatto che di concerie negli States ne sono rimaste pochissime. “Negli anni ’70 c’erano più di 20 aziende che lavoravano la pelle ovicaprina – ricorda UTNE –: oggi Nugget Company è una delle poche rimaste”. Una contrazione del business che va di pari passo con la diminuzione degli addetti: “La maggiore parte delle persone qui dentro dura mezza giornata, poi ammette ‘non fa per me’ – continua Wheeler –. Quelli che restano, lavorano con noi anche 20 anni. Il problema è che stanno invecchiando”.
Pars destruens (e manco poco)
UTNE non nasconde che, se gli States sono al contempo Paese dal grande patrimonio bovino, ma dalla scarsa attività conciaria, dipende anche da una strategia industriale di lungo corso che ha preferito la delocalizzazione in Cina e India. Il magazine ci va giù duro, a tratti anche troppo, parlando dell’impatto chimico dell’industria. Ci sono alcune imprecisioni e altre facilonerie, ma non ci sentiamo di fargliene una colpa. Tutto è perfettibile, ma UTNE ha un merito certo: aver ricordato che “la storia della pelle è la storia della concia”.
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