Made in Italy: l’errore che la filiera pelle non deve commettere

Made in Italy: l’errore che la filiera pelle non deve commettere

Dice il proverbio orientale che a volte la cosa migliore da fare è sedersi sulla sponda del fiume per aspettare di veder passare “il cadavere del nemico”. Ecco, non questa volta. L’errore che la filiera pelle proprio non può permettersi di fare nell’attuale congiuntura di mercato è proprio questo: giocare d’attesa. Pensare cioè che, tra crisi dei consumi e tsunami del caporalato, si possa fare leva sulla sola capacità di resilienza. Che pure è un merito, sia chiaro, ma che, come vi spieghiamo dalle pagine del numero di novembre del mensile La Conceria, da sola non basta.

 

 

L’errore che la filiera pelle deve evitare

Il titolo del servizio rende l’idea: “Chi non si evolve è perduto”. Parlando con gli addetti ai lavori (tra gli altri il CEO di Conceria del Chienti Marco Luppa), si evince che la sfida ora resta “lavorare in maniera progettuale”. In che senso? Vale a dire “andando oltre i codici che fino ad ora hanno caratterizzato il sistema”, di “ripensarsi e adattarsi” in modo da esprimere il massimo potenziale anche in una congiuntura come quella attuale. Certo, in una stagione di contrazione dei ricavi e azzeramenti dei margini è tutt’altro che facile. Ma è l’unica strada percorribile. Perché, a vedere come si muove il Governo su temi come il credito d’imposta, è difficile aspettarsi che sia qualcun altro a correre in soccorso del made in Italy: vige “il metodo Tafazzi”.

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Qui per sfogliare il sommario del numero di novembre de La Conceria

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