Ecopelle è una “parola dal fascino automatico” e “dalle suggestioni accattivanti”, riconosce Vogue. Ma è anche un termine usato in maniera scivolosa, spesso con intenzioni fraudolente. Per questo il magazine compie la necessaria operazione trasparenza: altrimenti l’opinione pubblica continuerà a non distinguere tra tessuti sintetici di vario tipo, che si appropriano di una definizione che non appartiene alla loro natura, e l’unica ecopelle possibile, quella conciata secondo standard di qualità codificati. Per raggiungere la propria missione, Vogue coinvolge UNIC – Concerie Italiane. “Il consumatore deve sapere cosa sta comprando”, osserva Fulvia Bacchi, direttore generale dell’associazione che rappresenta l’industria della pelle. Perché? “Ha il diritto di leggere sull’etichetta se il prodotto che ha tra le mani è di origine animale – risponde –. Se non lo vuole acquistare, almeno la sua sarà una scelta informata, consapevole”.
Operazione trasparenza
Vogue chiarisce che quella dell’area pelle non è una battaglia di retroguardia: “Non è un tentativo di aggrapparsi al protezionismo”, scrive. Anzi, aiutare il consumatore a orientarsi tra le diciture commerciali è un tema così cruciale da meritare l’intervento del Governo con il tanto atteso Decreto Pelle. “I nuovi materiali hanno libertà di esistere, non di denigrarci, accusandoci di essere poco sostenibili – spiega Bacchi –. Siamo un comparto importante per l’economia italiana e subiamo danni notevoli da chi si impossessa della stessa terminologia che ci identifica”. E poi, aggiunge, non è vero che chi si auto-definisce eco lo sia davvero. “In alcuni casi impiega derivati del petrolio. Per mantenere insieme le fibre vegetali ricorre a collanti, polimeri, sostanze plastiche. Diciamo che è complesso stabilirne l’impatto sull’ambiente”.
La vera ecopelle
Vogue Italia dedica il numero di gennaio ai materiali della moda. Dalla lettura del focus, si può concludere che la vera ecopelle, insomma, è quella conciata nei bottali da un’industria impegnata da decenni a migliorare le proprie performance. “Ci accusano di essere responsabili dell’abbattimento degli alberi, di favorire gli allevamenti intensivi – conclude Bacchi –. Siamo in grado di garantire la provenienza delle pelli da fonti non correlate ad aree deforestate. Collaboriamo con svariate organizzazioni per rendere sempre più controllabile la catena delle forniture. Per il 99,5% usiamo gli scarti della macellazione della filiera alimentare. Recuperiamo un sottoprodotto al 100% di origine biologica che altrimenti dovrebbe essere smaltito. Questi numeri sono la matematica dimostrazione di un’eccellenza, della sua dimensione sostenibile, attuale e futura”.
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