“È importante che la sostenibilità ambientale che noi dobbiamo perseguire in Europa, debba essere compatibile con la sostenibilità sociale e industriale delle imprese e del lavoro europeo. Altrimenti l’Europa si trasforma in un museo a cielo aperto, in un deserto industriale” Parole di Adolfo Urso, titolare del Ministero delle Imprese e del made in Italy (a destra nella foto), pronunciate ieri a Milano, durante l’inaugurazione delle fiere della Filiera Pelle italiana (di cui abbiamo scritto qui) facenti parte della galassia di Confindustria Moda. Pronunciate, soprattutto, immediatamente dopo l’intervento di Fabrizio Nuti, presidente UNIC – Concerie Italiane (a sinistra nella foto), che ha denunciato i rischi dell’entrata in vigore del regolamento 2009/103/CE. Alias, quella che Bruxelles ha imposto alle aziende europee sul tema “Deforestazione e Tracciabilità” e che rischia di trasformarsi in una pistola alla tempia per la conceria italiana.
La geometria dei numeri conciari
“L’industria conciaria in Italia – spiega Nuti – è composta da circa 1.100 aziende per un fatturato di circa 5 miliardi di euro. Questi numeri, però, potrebbero essere comuni anche ad altri settori. Quel che dà davvero senso all’importanza del nostro settore sono le percentuali che definiscono la nostra posizione in Europa, dove la nostra quota vale il 66%. Nel mondo, invece, valiamo il 25%: noi italiani produciamo un quarto di tutte le pelli del mondo”. Però, continua Nuti, “abbiamo una spina nel fianco. L’approvvigionamento domestico di materia prima vale meno del 10%, quindi dipendiamo quasi interamente dall’estero per la nostra produzione”. Ecco, allora, che “la geometria di questi numeri fa capire bene che la legislazione europea non bada alla nostra leadership, come quando ci cala dall’alto regolamenti e direttive che ci impongono regole impossibili da rispettare”.
L’allarme di UNIC sulla deforestazione
L’esempio più attuale e critico è relativo al regolamento “sulla deforestazione – continua il presidente UNIC -. Siamo stati inseriti a torto in questa direttiva. Noi, semmai, siamo quelli che raccolgono un residuo di lavorazione dell’industria della carne. Noi utilizziamo un sottoprodotto a cui diamo nuova vita”. In pratica: la concia risolve un problema e, per tutta risposta, gliene vengono creati altri. “Questo regolamento ci impone di gestire adempimenti burocratici non difficili, ma impossibili. Dovremmo fare una dichiarazione di tracciamento per ognuna singola pelle. Ci sono concerie che ne usano 1 o 2 milioni di pelli all’anno. Se questa procedura ipotizziamo richieda un lavoro di 15/20 minuti a pelle, si capisce bene cosa possa significare”.
L’Europa non diventi un deserto industriale
“I dossier industriali a Bruxelles – risponde Urso – in gran parte sono di competenza della Direzione Ambiente. Questo perché negli anni l’UE è stata dominata da una cultura dell’ambientalismo che aveva una regia precisa: distruggere l’industria europea”. Ora, però, con l’uscita di scena di Frans Timmermans, Commissario europeo per il clima e il Green Deal europeo, che decise in questo senso, le cose starebbero cambiando. “Lo dimostra, tra l’altro – conclude Urso – il nuovo format di politica industriale che abbiamo varato insieme a Francia e Germania a Berlino il 30 giugno. Rivoluziona gli asset di governo comunitario, fino a quel momento decisi da Francia e Germania. Ora c’è anche l’Italia. I tre grandi Paesi decidono insieme cosa fare e cosa far fare alla Commissione Europea”.
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