Il sospetto era fondato (fondatissimo), ma ora, come si suol dire nello slang dei social, lo conferma la scienza: la Commissione Europea, inserendo le pelli bovine tra le commodities che sottostanno al regolamento EUDR, non salverà alberi. Neanche uno. Per il semplice motivo che, come ha dimostrato lo studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, la concia non è un driver della deforestazione. Se il regolamento riuscirà in qualcosa, dunque, sarà solo nel condizionare pesantemente il commercio internazionale delle pelli bovine. Mentre a Lineapelle gli addetti ai lavori ne parlano nel seminario di UNIC – Concerie Italiane, Palazzo Chigi e la cancelleria tedesca chiedono a Bruxelles di rivedere il piano.
Lo sgomento della concia
Chi legge le cronache de La Conceria sa che da quando la Commissione ha scelto di includere le pelli bovine nel fatidico “Annex I” le associazioni nazionali e internazionali hanno protestato veementemente. E che, anche quando l’applicazione del regolamento cominciava a farsi pericolosamente vicina, da Bruxelles arrivavano col contagocce le informazioni operative necessarie. “Aspettavamo per luglio le linee guida, abbiamo avuto solo una bozza. Manca l’aggiornamento delle FAQ, atteso per la primavera. Attendiamo ancora il risk benchmarking dei Paesi – riepiloga Giulia Martin di UNIC, dal palco del seminario organizzato dalla stessa associazione con Spin360 nella cornice di Lineapelle 104 –. Allo stesso modo conosceremo solo a novembre il sistema informativo per l’inserimento delle due diligence. Mentre non sono chiari i meccanismi di applicazione nel periodo tra il 31 dicembre 2024, quando sono chiamate a rispettarlo le grandi aziende, e 30 giugno 2025, quando dovranno osservarlo anche le PMI”. “Non sappiamo perché si sia accumulato tale ritardo. Ora il futuro del regolamento– aggiunge il vicepresidente di UNIC Luca Boltri – è nelle mani della nuova commissione, che si è appena formata”. “Al momento l’unico risultato dell’EUDR – chiosa Gustavo Gonzalez-Quijano, segretario generale di Cotance – sarà isolare il mercato europeo da quello globale”.
Così l’EUDR non salverà alberi
Già, perché la premessa è che la Commissione ha inserito le pelli bovine nel regolamento senza ascoltare i diretti interessati e senza fare un impact assessment: al buio, detto in altri termini. E la ricerca del Sant’Anna di Pisa (basata sulla letteratura scientifica, sulle interviste e sulle analisi dei dati) conferma i legittimi sospetti dei conciatori: la pelle bovina non è un driver della deforestazione illegale e, quindi, condizionarne il mercato non aiuterà ad arginare il fenomeno. “Il nostro è stato uno studio interdisciplinare – racconta Luca Marrucci dell’Istituto di Management dell’ateneo toscano –. Abbiamo appurato che la pelle è un sottoprodotto della carne e che l’Unione Europea importa pelli bovine da Paesi, come Stati Uniti e Brasile, che nel mercato comunitario non esportano quantità rilevanti di prodotti carnei”. Le conseguenze sono due. La prima: “Gli allevatori, se già non ne hanno, non hanno incentivi a investire in sistemi di tracciabilità per rispettare i paletti che l’EUDR pone per la pelle”, aggiunge Marrucci. La seconda, ancora più paradossale: “Secondo le nostre elaborazioni, i potenziali benefici ambientali del regolamento sono del tutto opinabili”.
I due scenari
Già, perché al Sant’Anna hanno stimato che all’aumento del prezzo della pelle bovina del 6/10%, la domanda calerebbe del 9,3/15,5%. Tutto a detrimento del mercato europeo, of course, perché i flussi di materiali potrebbero risintonizzarsi verso destinazioni (India e Cina su tutte) che l’EUDR lo guardano da lontano. “Abbiamo ipotizzato sulla base dei volumi di commercio globale del 2023 due scenari – continua Marrucci –. Nel primo le esportazioni da Brasile e USA che perde l’Europa vanno tutte in Cina. Nel secondo si suddividono tra più Paesi importatori e il mercato domestico”. In entrambi i casi ci perde il pianeta, perché le pelli andrebbero verso manifatture meno efficienti. “Il primo scenario si conclude con una performance ambientale deteriore del 30% rispetto al 2023 – conclude Marrucci –, il secondo del 25%. Senza sottovalutare le implicazioni in termini di durabilità che implica la prevedibile sostituzione della pelle con materiali plastici in molti prodotti finiti”.
Ora tocca all’UE
Intanto, l’industria non rimane con le mani in mano. Il Leather Traceability Cluster promosso da Cotance con istituti di certificazione (come ICEC) e ONG (come WWF) si avvicina a completare la propria missione. Mentre si guarda alla politica per convincere la Commissione a rinviare l’applicazione del regolamento (e magari correggerne il testo). I governi nazionali alzano la voce: dopo il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che chiede a Bruxelles di sospendere l’EUDR “fino a quando non ne sarà chiara l’applicabilità”, anche il governo italiano pretende più tempo a tutela della competitività delle imprese. (rp)
Leggi anche: