Non usare la pelle per evitare che si macellino gli animali. È un argomento molto caro a certi opinionisti veg. Un argomento che fa, incredibilmente, breccia anche tra gli addetti ai lavori delle griffe. Ma non è così. Senza la concia e la sua attività di upcycling, la pelle si riduce a uno scarto della filiera zootecnica da seppellire in discarica o incenerire nei termovalorizzatori. Lo dimostra una volta per tutte lo studio condotto da Gary W. Brester (professore emerito presso il department of Agricultural Economics della Montana State University) e Kole Swanser, dottore di ricerca in economia agricola. Analizzando i dati delle attività delle filiere statunitensi della carne e della pelle negli ultimi 25 anni, i ricercatori concludono che i trend di mercato della prima non sono influenzati da quelli della seconda. “I risultatici dicono che le pelli sono un sottoprodotto – commenta Brester – e non esercitano alcuna influenza diretta sul patrimonio bovino degli USA”. Di converso, se all’improvviso sparisse l’industria conciaria (come taluni auspicano), il sistema dovrebbe affrontare “un problema ambientale”, perché la pelle grezza da byproduct si trasformerebbe in waste (rifiuto).
Lo studio
Lo studio, dicevamo, analizza la relazione negli ultimi 25 anni tra l’andamento delle attività zootecniche e quello delle attività conciarie. Ne emerge che il mercato delle pelli grezze ha vissuto alterne fortune. I numeri relativi ai bovini da latte e da carne, al contrario, rimangono sostanzialmente invariati. Il report, dunque, risponde a chi pensa di poter colpire gli allevamenti eliminando la pelle dalla moda e dal design. A fronte di un mercato delle proteine animali sempre vivace, l’unico risultato che otterrebbe è mandare gambe all’aria un collaudato meccanismo di economia circolare.
Senza concia
Ad oggi, si legge nello studio, la concia consente il recupero dell’85% delle pelli di bovine prodotte annualmente negli Stati Uniti. Senza la concia, sarebbero necessarie la combustione o lo smaltimento in discarica di 33 milioni di pelli, con la conseguente emissione di più di 750.000 tonnellate di CO2 ogni anno. Per di più tutte le discariche USA, calcola il report, si esaurirebbero entro quattro anni. “Più le popolazioni globali diventano urbanizzate, meno comprendono le dinamiche dell’agricoltura. Ciò si traduce in convinzioni sbagliate – chiosa Steve Sothmann, presidente di LHCA (associazione dei trader e dei conciatori USA) –. Ad esempio, che non produrre pelle finita sarebbe un bene per l’ambiente e comporterebbe il ridimensionamento delle industrie casearie e della carne”. A chi non ascolta le ragioni (scientifiche) della concia, Sothmann ricorda che “tagliare la pelle danneggia il pianeta, perché causa più rifiuti, più emissioni di gas serra e, di conseguenza, una maggiore domanda di materiali alternativi, spesso inquinanti”.
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