L’hub siberiano si chiama Novosibirsk Technopark. Qui sono stati messi a punto alcuni brevetti per la lavorazione delle pelli di pesce (nella foto a sinistra, alcune scarpe confezionate con queste pelli), tutti basati sull’utilizzo di tannini organici a bassissimo impatto ambientale. Il progetto di partenza risale al 2015, è stato elaborato da due studenti della Summer School del Technopark che si sono focalizzati sulla pelle di salmone e “ha ottenuto i fondi per il sostegno all’innovazione – raccontano dalla Siberia -. Attualmente, a Berdsk, vengono lavorati da 40 a 60 chilogrammi di materie prime a settimana”. Prospettive? Erodere un piccola fetta di mercato alle pelli di rettile, ”pitone in particolare – dicono dal Technopark -. Se la produzione aumenterà, la pelle di pesce costerà da 1,5 a 2 volte in meno e potrebbe diventare possibile occupare fino al 3% del mercato delle pelli esotiche nei prossimi 3-5 anni”. Dalle prospettive ittiche (e realistiche?) siberiane, al progetto nigeriano messo a punto da Newton Owino (a destra nella fotontratta da theworldnews.net), chimico industriale che, osservando i volumi di scarto del pescato proveniente dal Lago Vittoria, dove si affaccia la città dove vive, Kisumu, ha deciso di recuperarne almeno la pelle. Ne è nata una sorta di startup, Alisom, che ha messo in moto centinaia di persone le quali consegnano le pelli dei pesci all’azienda di Owino, dove vengono ripulite e poi messe ad essiccare su travi di legno. Successivamente le pelli vengono messe a mollo in una soluzione a base di erbe e frutta per ammorbidirle e eliminare il tipico odore ittico. Risultato: una pelle che (come quella siberiana) ricorda quella di pitone e che, essendo molto meno cara, viene trasformata in calzature e giacche di prezzo abbordabile per i consumatori locali: non oltre i 25 euro a paio/capo. Dato che l’idea, per ora, funziona, il titolare di Alisom sembra intenzionato ad avviare una scuola di formazione per avere più manodopera a disposizione.
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