Si è svolta questa mattina a Milano, presso l’ADI Design Museum, l’Assemblea Annuale di UNIC – Concerie Italiane. Un momento di riflessione e analisi che, oltre ad approfondire lo stato congiunturale e green del settore conciario italiano (come potete leggere qui), ha permesso al presidente Fabrizio Nuti (nella foto) di mettere “i puntini sulle i” in relazione ad alcuni argomenti di stretta attualità. Arrivando a chiudere il suo intervento con una sorta di slogan che ben sintetizza l’eccellenza operativa e progettuale della concia italiana: “Il nostro prodotto e il nostro agire parlano per noi”.
Una battaglia ideologica e culturale
Una significativa parte dell’intervento di Nuti si è focalizzata sugli “attacchi ingiustificati” che penalizzano il prodotto pelle e la concia. Attacchi che generano “asfissianti luoghi comuni, dettati spesso da una scarsa, se non nulla, conoscenza del settore. Ma anche da opportunismo di mercato, nell’intento di sostituirsi alla pelle, che non rende troppo onore a chi lo mette in pratica”. Ecco, dunque, che “la battaglia è soprattutto ideologica e culturale. Richiederà molto tempo, soprattutto in un mondo (intendo quello occidentale e soprattutto europeo), a cui piace intridersi di valori emotivamente attraenti e accattivanti, ma spesso economicamente e scientificamente sbagliati”.
Materiali alternativi (a cosa?)
Sui materiali alternativi alla pelle, arriva una significativa sottolineatura. “Come ho detto più volte in passato – dice Nuti -, c’è posto per tutti in questo mondo. Noi non temiamo rivali in virtù della forza naturale del nostro prodotto”. Ma “bisognerebbe dotarsi di onestà intellettuale (forse un’utopia è vero), ed essere corretti. La pelle si chiama pelle, la plastica plastica, i funghi funghi: sarebbe tutto più semplice e trasparente. Mi chiedo perché questo non accada, perché si debba chiamare pelle quello che pelle non è? La domanda è retorica e la risposta è ovvia”.
Bruxelles
“Ricicliamo uno scarto, e lo sottolineo con forza: l’abbattimento degli animali non è causato da noi. Però, nel sistema in cui ci troviamo a operare, ci scontriamo con una normativa europea che non considera la pelle un rifiuto bensì un sottoprodotto”. Tutto ciò, a Bruxelles, è dovuto “alla forte ideologizzazione ambientalista del continente, che costituisce, spesso, la maggioranza. Almeno a livello politico. In fondo, è quello che è accaduto con la nostra richiesta di emendamento alla disciplina europea in tema di deforestazione, per il quale la pelle avrebbe dovuto, a ragione, essere esclusa da ogni collegamento con gli allevamenti e con la deforestazione”. Ma “è stato respinto dalla maggioranza del Parlamento Europeo, nonostante la forte azione di lobby esercitata. Questa dimostrazione di poca considerazione da parte di Bruxelles ci convince a lavorare e investire in un ulteriore e sostanziale potenziamento gestionale, pratico e progettuale di Cotance, la nostra confederazione europea. Un potenziamento, a questo punto assolutamente necessario, orientato alla creazione di uno stringente e virtuoso networking con tutte le altre associazioni conciarie continentali e che vede UNIC farsi carico, data la sua leadership produttiva, degli oneri maggiori”.
Le certificazioni
“Viviamo tutti la consapevolezza che la sostenibilità sia diventata spesso niente più di un’etichetta – spiega il presidente UNIC -. Un’arma puntata contro l’industria della moda, della quale anche noi facciamo parte, che viene accusata di essere tra le più inquinanti, in mancanza, però, di dati precisi, omogenei e, soprattutto, condivisi”. Una nebulosità che “mortifica un settore come quello della conceria italiana”. Perché le concerie, “nella assoluta maggioranza, hanno storicamente adottato tutti gli strumenti resi obbligatori da una normativa nazionale ed europea sempre più cogente e in costante evoluzione”. E gli hanno affiancato “una serie di attività volontarie che non hanno pari al mondo, come dimostra la costante attualizzazione e diffusione dei sempre più autorevoli schemi di certificazione proposti da ICEC”. Si tratta di una qualifica green messa, però, in difficoltà dall’imposizione di un sistema di protocolli e audit ambientali appiattiti su standard globalizzati (leggi asiatici), che non tengono conto della particolare eccellenza del nostro modello di business”. Così, “lo penalizzano, indebolendolo, sotto il profilo concorrenziale e reputazionale, equiparandolo a quello di Paesi che non hanno nulla a che spartire con noi, con produzioni industriali massive e di sicuro più impattanti”.
Le acquisizioni
È il tema del momento. “Sono tante le operazioni M&A che vedono protagonista il nostro settore, il nostro prodotto e tutta la filiera della pelle – dice Nuti -. È un fenomeno che va avanti da tempo e che nell’ultimo anno è diventato quasi una consuetudine, dimostrando che, soprattutto dopo lo scoppio della pandemia, è emersa la necessità di costruire piattaforme aziendali di nuova generazione”. Nascono perché “molte piccole e medie concerie” faticano a “navigare da sole in un mercato che si è modificato molto negli ultimi anni”. Perché “i protagonisti nel mondo del luxury fashion vogliono avere un certo controllo della loro filiera di approvvigionamento come garanzia di continuità delle forniture, che prevedono in costante ascesa”. E, quindi, “chiedono interlocutori più strutturati”. Si tratta di “un cambiamento epocale”. Un “riconoscimento e apprezzamento per il lavoro svolto e per la supremazia qualitativa che ci contraddistingue e che porterà a un rafforzamento del business per tutti. Si tratta, quindi, di un ribaltamento di prospettiva che, certamente, continuerà a ridefinire la struttura del nostro settore e della filiera”.
La location
L’aver svolto l’assemblea 2022 all’ADI Design Museum non è stata una scelta casuale. Per due motivi. Il primo è di senso: “Siamo tra i protagonisti del design e di quel made in Italy capace di suscitare l’entusiasmo e l’apprezzamento dei consumatori in tutto il mondo – dice Nuti -. Scarpe, borse, abiti, oggetti di arredo, interni di auto, di aerei, yacht non sarebbero così apprezzati nei mercati globali. E non avrebbero mai potuto acquisire lo stesso prestigio senza quell’unico, inimitabile materiale che è la pelle italiana”. Il secondo è progettuale. Il museo milanese del design, “ospiterà nella prossima primavera la mostra The beauty of the Italian Tanning Industry. La mostra, dopo la tappa a Lineapelle dello scorso settembre, intraprenderà un viaggio che la porterà in diverse città italiane ed estere”. Un prodotto divulgativo che punta a non avere confini.
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