UNIC: la concia guarda al futuro, ma fa i conti con la crisi

UNIC: la concia guarda al futuro, ma fa i conti con la crisi

È un’Assemblea Annuale che cerca di guardare al futuro, ma deve fare i conti – necessariamente – con un presente complesso, quella di UNIC – Concerie Italiane svolta oggi a Milano. Il riferimento è al bilancio dell’anno 2023, ma non risparmia i primi mesi di questo 2024, “perché la crisi continua”, mette in chiaro Fabrizio Nuti, presidente dei conciatori italiani. Lo fa subito, all’inizio della sua relazione, che – prima di tornare a bomba sui dati economici – si muove attraverso i temi caldi che mettono sotto pressione il settore. Primo fra tutti, EUDR, il Regolamento Anti-Deforestazione varato da Bruxelles del quale abbiamo ampiamente scritto qui e qui.

La crisi continua

C’è stata un’ampia contrazione delle nostre attività – dice Nuti -. Nemmeno quelle caratteristiche di flessibilità e di adattabilità all’evoluzione dei mercati, che sono da sempre i punti di forza di noi conciatori, ci sono state d’aiuto. È come se un virus, interno alla filiera, si fosse aggiunto ai fattori esogeni di questa crisi”. I numeri non lasciano dubbi.

Ai livelli dei primi anni ‘90

Nel 2023, dice Nuti, “il valore annuale della produzione, pari a 4,3 miliardi di euro, è calato del 6,5%”. Significa, come emerge dalle elaborazioni del Servizio Economico UNIC (associazione aderente a Confindustriua Moda), che in volume, l’arretramento equivale al -9,5%, scivolando “sotto la soglia dei 100 milioni di metri quadri. Solo nel 2020, anno del Covid, avevamo prodotto meno”, sottolinea Nuti.

 

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Una situazione frustrante

Si è arrivati fin qui, per la “forte inflazione causata dal recupero post-pandemico dell’economia globale, che ha progressivamente eroso il potere d’acquisto dei consumatori”, continua Nuti. Ma anche per “le forti e crescenti tensioni geopolitiche internazionali, che hanno ulteriormente frenato la fiducia negli acquisti”. Quindi, “una parte della nostra clientela si è orientata a contenere i costi degli approvvigionamenti, optando maggiormente per materiali alternativi a basso prezzo”. Mentre “un’altra parte ha deciso di improntare alla massima cautela la gestione degli acquisti di pellami. La frenata inaspettata dei consumi iniziata nella seconda parte del 2022, proseguita l’anno passato e tuttora in corso, insieme a un’attesa forse sovrastimata della tendenza di recupero post-Covid, ha portato a una saturazione dei loro magazzini”. Il che riguarda “sia i pellami, che il prodotto finito. In aggiunta, quest’anno, ed è la prima volta dopo quasi un ventennio di costante crescita a doppia cifra, si osserva un rallentamento dei brand del lusso. Per noi, la situazione è stata, e rimane, frustrante”.

L’orizzonte delle destinazioni

“Il calo di ordini del 2023 – spiega il presidente UNIC – ha interessato tutte le nostre principali destinazioni d’uso. ma quelle legate alla moda hanno sofferto maggiormente, con calzatura e pelletteria in ribasso a doppia cifra. L’automotive ha, invece, limitato le perdite meglio dell’arredamento. A dare uno sguardo all’ultimo decennio, emerge che la nostra principale clientela, quella calzaturiera, ha diminuito del 40% i volumi d’acquisto di pelli italiane. Una perdita che è andata di pari passo con la riduzione delle scarpe prodotte in Italia nel medesimo periodo, -25%. Anche la nostra produzione per arredamento e abbigliamento è diminuita drasticamente rispetto a dieci anni fa”. In altre parole, si parla di “circa un terzo in meno per entrambe le destinazioni, che avevano invece rappresentato il traino della forte crescita del settore a cavallo d’inizio millennio. Tendenza opposta, fortunatamente, per le pelli vendute a pelletteria e auto, in forte espansione fino alla comparsa del Covid.

È cambiato tutto

Il riscontro sulle tipologie di pellami evidenzia che “la contrazione decennale della produzione fisica sia stata più pesante per le pelli piccole – vitelline e ovicaprine (-39%) -, rispetto alle bovine medio/grandi (-17%)”. Per Nuti, “il mercato e la società alla sua base, che ci hanno permesso di diventare indiscutibilmente i leader mondiali di settore, non ci sono più. È cambiato tutto. Il mercato è sempre più polarizzato su “alto” o “basso”. Dove “alto” significa volumi ridotti (e comunque non garantiti) e “basso” significa prezzi e qualità minima (e il green washing spesso usato dai clienti come arma mediatica per giustificare l’abbandono delle alte – e più costose – performance garantite dalla pelle al consumatore)”.

Export

“È particolarmente significativo come dal 2022 il principale Paese estero di destinazione delle nostre pelli sia la Francia, che ha spodestato la Cina dopo quasi 30 anni di dominio assoluto. Una tendenza che si è ulteriormente consolidata l’anno passato. Lo dimostra anche come, nel complesso, le nostre vendite verso l’area euro (incluso il mercato nazionale) sono ora pari al 77% del totale, quasi il 10% in più rispetto al 2013”.

Nuovi modelli di sviluppo

Ribadendo come UNIC sia progettualmente al fianco delle concerie italiane per sostenerne il percorso di transizione green, Nuti sottolinea un ulteriore aspetto evolutivo. “Dobbiamo trovare nuove linee di direzione – conclude -. Nuovi modelli di sviluppo, nuove strategie di filiera e prodotto. Probabilmente dobbiamo cercarle anche al di fuori del nostro mondo. Al di fuori di quello che abbiamo sempre fatto”. È l’ennesima sfida che la conceria italiana deve affrontare per costruire un orizzonte che va oltre la crisi.

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